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TICINOEcco come ti preparo l'insegnante a combattere il bullismo

23.10.12 - 07:41
Intervista a Floriano Moro, referente per la formazione dei docenti della scuola dell’infanzia ed elementare presso il Dipartimento formazione e apprendimento della Supsi
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Ecco come ti preparo l'insegnante a combattere il bullismo
Intervista a Floriano Moro, referente per la formazione dei docenti della scuola dell’infanzia ed elementare presso il Dipartimento formazione e apprendimento della Supsi

LUGANO - Stando a quello che registrano coloro che lavorano in ambito scolastico sembra che il bullismo nelle scuole sia un fenomeno in diminuzione. Questo almeno secondo l'ultimo rilevamento  condotto attraverso questionari agli allievi dagli 11 ai 15 anni. Ma come vengono preparati gli insegnanti ad affrontare i casi di bullismo? Lo abbiamo chiesto a Floriano Moro, referente per la formazione dei docenti della scuola dell’infanzia ed elementare presso il Dipartimento formazione e apprendimento della Supsi.

Come e quanto vengono preparati i docenti per affrontare il bullismo? Ci sono moduli formativi dedicati?
"Tutta la formazione, innanzitutto, si concentra sulla messa in opera di pratiche didattiche che non prevedano dinamiche di scontro o antagonismo, ma piuttosto di collaborazione. Questo è un atteggiamento di fondo che mira a integrare tutte le persone che operano nella scuola. Per quanto riguarda, più specificamente, tutta la gamma di comportamenti che potrebbero rientrare sotto l’etichetta di bullismo, noi cerchiamo di formare i nostri docenti a riconoscere le tensioni o le difficoltà a livello relazionale e fare in modo che l’insegnante stesso sia un mediatore nella piccola comunità che è la classe e nell’istituto. Le forme di bullismo, tuttavia, spesso non avvengono in classe, ma negli spazi esterni alla classe o nel percorso casa-scuola".

Cosa può fare, quindi, l’insegnante per prevenire gli atti di bullismo che avvengono fuori dall’aula?
"Abbiamo dei formatori che si specializzano per elaborare dei percorsi didattici o delle attività fatte in classe che pongano l’accento sull’abilità di riconoscere in sé e negli altri i segnali di una rabbia repressa. Rabbia che si sfoga in questi atteggiamenti che diventano distruttivi nei confronti della comunità, ma prima di tutto nei confronti della persona che li produce e delle sue capacità relazionali".

E, quando questa rabbia si traduce effettivamente in atti violenti, cosa deve fare il docente?
"Prima di tutto contenere la situazione. Mentre si monitorano e valutano gli atteggiamenti problematici di rabbia e irrequitezza, il passaggio all’atto violento, invece, non è mai giustificabile. In ogni caso, poi, bisogna tematizzare. Quando questi episodi avvengono è il momento di discutere delle regole di convivenza anche attraverso il “consiglio di cooperazione”".

Che cos’è il “consiglio di cooperazione”?
"Si tratta di una pratica didattica abbastanza diffusa, non su tutto il territorio, ma in molti istituti, alla quale viene dedicato del tempo similmente all’ora di classe nella scuola media. Consiste in una seduta, a cadenza regolare, in cui tutti gli allievi discutono della vita di classe, spesso seduti in circolo e secondo determinate regole".

Quanto e in quale fase vengono coinvolte le famiglie in situazioni di tensione fra gli allievi?
"Devo premettere che questo aspetto si sposta su un livello che non concerne più la formazione, ma la gestione della scuola e le indicazioni e le normative degli istituti. Comunque noi, qui al Dipartimento formazione e apprendimento, al terzo anno abbiamo dei moduli che parlano della collaborazione scuola-famiglia. Quando si verificano delle problematiche specifiche si insegna al docente a discutere e concordare con le famiglie qual è la linea educativa che si vuole adottare. Questo non vuol dire scendere a compromessi con loro, ma esplicitare il lavoro che si vuole fare con i ragazzi. Non dobbiamo dimenticare che la scuola è un servizio che la società offre alle famiglie e che l’autorità parentale rimane completamente in mano alle famiglie. Quindi qualsiasi tipo di intervento deve essere approvato dalle stesse anche attraverso i colloqui regolari che normalmente si fanno".
 

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