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Narcisi e profondamente soli, ecco la generazione social

Vivono sui social. Raccontano qualsiasi cosa della propria vita. Un bisogno che nasconde diversi problemi.
Vivono sui social. Raccontano qualsiasi cosa della propria vita. Un bisogno che nasconde diversi problemi.

Alzarsi la mattina e avere come primo pensiero quello di entrare nei social, che sia Facebook, Instagram o Twitter, e scrivere un commento. Oppure raccontare qualcosa della propria vita. Il più delle volte si tratta di informazioni totalmente banali, insignificanti, che non interessano nessuno. Ma non fa niente, si vive la giornata virtuale all'insegna del motto di "Digito, ergo sum".  Come siamo arrivati a questo? Ne abbiamo parlato con il dottor Michele Mattia, Specialista in psichiatria e psicoterapia, nonché presidente dell'ASI-ADOC (Associazione della Svizzera Italiana per l'Ansia, la depressione e i disturbi ossessivi compulsivi).

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Ormai è appurato: i social network non sono più solo una moda, un semplice passatempo, bensì una filosofia di vita, un modo di essere. Cosa spinge un individuo a postare continuamente foto e frasi che raccontano di se stessi?

Siamo in una società dove i rapporti con gli altri stanno diventando sempre più diradati. Con la tecnologia si sta progressivamente modificando tutto ciò che permetteva dei contatti fra le persone. Non andiamo più in posta, né in banca, facciamo la spesa dal PC, con la pandemia lavoriamo da casa. A maggior ragione i social hanno decretato un cambio significativo nelle relazioni, attraverso una vera e propria rivoluzione dei rapporti umani. Progressivamente è diventato sempre più significativo essere all’interno del proprio profilo social, piuttosto che relazionarsi direttamente con una persona. Dal punto di vista proiettivo essere nei social significa poter essere “visto e contattato” da un numero infinito di persone. L’entrata nei social porta l’individuo a potersi idealmente (fantasticamente) mettersi in contatto con un numero indefinito di altri individui. Ciò potrebbe aumentare fortemente il proprio senso del narcisismo.

Svegliarsi la mattina e raccontare sui social la propria colazione, il proprio sogno erotico, il vestito indossato per uscire, si tratta di descrizioni del tutto banali, eppure presentate come qualcosa di eccezionale. Cosa si nasconde dietro a questo meccanismo?

Raccontare qualsiasi piccolo atto della propria vita quotidiana, mette in evidenza da una parte un profondo senso di solitudine. Dall’altra parte sottolinea il bisogno di auto-affermazione, di rinforzo del proprio IO, attraverso l’esposizione sui social di atti e comportamenti della vita quotidiana, che solitamente condividiamo con i membri della famiglia, o con gli amici più intimi. Emerge quindi anche la sofferenza di molte persone che non riescono più a trovare ascolto nel coniuge o nei famigliari o negli amici e viceversa, che spinge sempre di più ad utilizzare i social come surrogato di una realtà mancante e castrante. 

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C’è anche un lavoro che viene effettuato sulla propria foto prima di postarla (effetti, correzione dei difetti). Tutto ciò può essere preoccupante?

Ricorrere a strategie per migliorare la propria immagine, è presente dall’era degli egizi, quando coloro che appartenevano alla classe dei nobili, potevano permettersi di accedere a delle cure del corpo particolarmente basate sull’estetica. Anche le classi aristocratiche dell’Antica Grecia, nonché dell’Antica Roma, avevano un’attenzione elevatissima per l’estetica. Sempre la nobiltà ha prestato attenzione alla propria immagine, attraverso l’utilizzo di trucchi o strategie simili. Progressivamente l’attenzione alla propria immagine è diventata diffusa, comune. Si è arrivato ad utilizzare sempre di più “il bisturi” o “l’infiltrazione sotto cutanea” o semplicemente il classico “trucco”per migliorare la propria immagine esteriore. Non è da meno l’utilizzo del ritocco all’interno delle fotografie per veicolare un’immagine della propria persona che possa essere sempre più simili alla media delle immagini che sono presenti nel web.

Solitamente si dice che sono le donne a preoccuparsi più degli uomini di come appaiono nelle foto. Vale così anche nel mondo dei social?

Gli uomini hanno iniziato ad avere un’attenzione sempre più significativa rispetto alla loro immagine. Vediamo sempre di più uomini che vanno nei centri estetici per migliorare di molto la cura della propria persona. Anche nei social stiamo osservando un aumento significativo di come il sesso maschile esprime sempre più attenzione alla propria immagine, attraverso ritocchi, aggiustamenti, miglioramenti. D’altronde dobbiamo anche considerare che molte delle persone che vedono le immagini degli altri nei social, non si incontreranno mai. È un po’ come tutti coloro che appartengono allo stars-system, che cercano di fare di tutto per migliorare la propria immagine.

Gli studiosi hanno evidenziato che un elevato utilizzo dei social e la continua tendenza a rendere il proprio corpo oggetto potrebbero essere indici di una sofferenza psicologica. Di che tipo di sofferenza si tratta?

Stiamo entrando nel campo delle nuove psicopatologie da dipendenza senza sostanze. I social sono uno di queste psicopatologie, dove le persone diventano dipendenti del dispositivo, non riuscendo più a staccarsi. Esiste una sindrome che è la FOMO, ovvero fear of missing out. Moltissime persone non riescono più a rimanere senza il proprio cellulare, e non possono pensare di esserne distanti o abbandonarlo. Ormai per moltissimi lo smartphone è diventato una parte anatomica e non più un dispositivo esterno. La vita di queste persone prende sempre più significato perché è presente all’interno dei social e per accedere ai social il cellulare è indispensabile.

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E il risultato qual è?

Che si creano delle vere e proprie dipendenze, con la sindrome di astinenza nel momento in cui non possiamo accedere al cellulare o abbiamo il timore di non potervi accedere, con irritabilità, inquietudine, crisi di rabbia, impulsività. Spesso all’interno delle coppie il partner non ha accesso al cellulare dell’altro partner, spesso vi sono delle password inaccessibili, quasi come se all’interno dello smartphone vi fosse un mondo pieno di segreti, quasi fantastico, ove nessun altro può accedervi. Un altro sviluppo psicopatologico è il disturbo ossessivo-compulsivo, con la spinta a controllare innumerevoli volte il proprio cellulare e se non lo si fa il nostro pensiero continua ad essere proiettato su quello che potrebbe essere arrivato. Generalmente controlliamo il cellulare dalle due/trecento volte al giorno, fino ad arrivare nelle dipendenze da cellulare a mille/millecinquecento volte al giorno. 

Si parla spesso di una generazione di bulimici dell’attenzione altrui. Negli Stati Uniti i casi di disturbi narcisistico della personalità sono aumentati notevolmente negli ultimi dieci anni. 

La ricerca di attenzione è presente intrinsecamente nell’essere umano. Già da quando siamo bambini andiamo alla ricerca dell’attenzione dei genitori. Quando questo non succede la reazione può essere di isolarsi, di irritarsi o di piangere. Con l’entrata nell’adolescenza spesso le crisi maggiori arrivano quando non ci sentiamo al centro dell’attenzione dell’altro, o quando vorremmo che l’altro fosse più presente nella nostra vita e così non succede. Ciò porta a creare crisi d’ansia, crisi depressive, disturbi del comportamento, progressiva riduzione della propria autostima personale, arrivando sino a sentirsi esclusi ed inutili. Pertanto laddove non abbiamo l’attenzione dell’altro si crea una ferita narcisistica che ci può portare a delle situazioni complesse, anche a comportamento di disturbo sociale significativo. La società dei social e televisive è diventata sempre più una società narcisistica, con il culto della persona, sino ad arrivare a livelli sproporzionati. Sembra quasi che sia più importante quanti followers uno ha piuttosto che chi è quella persona.

Dal suo osservatorio quanto è presente il problema alle nostre latitudini e quale storia l’ha maggiormente colpita?

Una storia che mi ha colpito, fra le altre, è quella di una signora della mezza età, che aveva iniziato una relazione con un uomo sposato, che era sempre proiettato sull’utilizzo dei social e non le permetteva di avere accesso alla sua password. Ogni qualvolta lei glielo chiedeva lui rifiutava con rabbia, a volte esplosiva. Quando lei è riuscita a carpire la password del suo amante, ha trovato all’interno dei social che egli utilizzava una pletora di storie parallele messaggistiche che l’aveva mandata in uno stato di profonda angoscia. Alla domanda che gli pose di tutte quelle storie parallele, lui rispose che non avevano nessun valore, ma gli permettevano di superare la noia che viveva nelle propria vita.   

Paolo Crepet ha definito colui che scrive sui social un narciso, e il narciso è sempre superficiale. È d’accordo con questa definizione? Sono davvero superficiali?

Bisogna differenziare chi scrive nei social con il desiderio di fare una divulgazione scientifica, delle proprie conoscenze fondate, piuttosto che stimolare la riflessione e il pensiero degli altri, da coloro che utilizzano i social attraverso una superficialità del dispositivo. Indubbiamente tutti coloro che utilizzano i social in una modalità superficiale, utilizzando le conoscenze generalizzate, senza riflettere o approfondire le conoscenze reali, entrano nella classe delle persone superficiali. Dobbiamo sempre comprendere se ciò che viene scritto parte da delle teorie non confermate, o è uno scritto che va alla ricerca di nuove strategie di conoscenza. 

Non è importante ciò che si dice su Facebook, Instagram o Twitter, l’importante è esserci. Come siamo arrivati a questa situazione?

L’arrivo dei social ha portato al cosiddetto effetto di massa. Ovverossia le persone sono entrate nei social velocemente, poiché l’amico, il gruppo, il collega era entrato. Sappiamo che l’effetto massa permette di spingere la maggior parte delle persone a fare la medesima cosa, anche se non vorrebbero farlo. Oggi siamo sottoposti a continui condizionamenti da parte dei social, quasi come se non potessimo più non esserci dentro, altrimenti è come se appartenessimo ad un gruppo di persone di un’epoca arcaica. I social hanno preso una potenza a livello mondiale estremamente significativa, arrivando a condizionare i comportamenti delle persone. 

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Il passo dal selfie normale al selfie erotico o pornografico è breve. Su onlyfans sempre più persone comuni pubblicano foto e video dai contenuti erotici. Un tempo queste cose le facevano attori e attrici professionisti, oggi lo fanno casalinghe e studenti. Cosa è accaduto?

Onlyfans ha avuto un successo sempre più importante, anche attraverso la pandemia. Negli Stati Uniti molte donne che si sono trovate in una situazione di profonda difficoltà economica, hanno iniziato ad utilizzare Onlyfans, posando nude, o mettendo dei video dai contenuti erotici. Attraverso questo riuscivano a guadagnare qualche centinaio di dollari al mese. In un mondo sempre più capitalistico, ove è sempre più difficile vivere con delle entrate normali o al limite della sopravvivenza, l’utilizzo di stratagemmi e strategie per poter arrivare a guadagnare qualche soldo in più, sta diventando sempre più comune. Il culto del corpo e dell’IO persona è diventato sempre più importante, arrivando ad esporlo nella sua nudità. Inoltre la presenza su internet di una quantità di canali pornografici enormi, ha portato a ridurre il senso di imbarazzo e vergogna personale, sino ad entrare in una facilitazione dell’esposizione del proprio corpo. La presenza anche del cosiddetto “poliamore”, della perdita di valori etici, morali, nonché dell’utilizzo del corpo sessuale fra amici, nonché la caduta di molte barriere dell’erotismo, ha portato a rafforzare questo tipo di comportamento. 

Quando possono rivelarsi potenzialmente pericolosi e quando dovrebbe scattare il campanello d’allarme?

Questi comportamenti possono diventare difficili da gestire nel momento in cui la persona non è più in grado di mettersi un freno o un limite. Quando la sua mente è continuamente proiettata sul medesimo pensiero, diventando lo stesso di tipo continuativo, ossessivo, disfunzionale. Questo crea un campanello d’allarme importante, poiché la persona incomincia a non avere più attenzione per la propria vita quotidiana, inizia ad avere difficoltà nell’andare al lavoro o a scuola o a studiare, nonché nella socializzazione si chiude sempre di più all’interno del suo mondo del web erotico/pornografico.

Come ci si può salvare?

Bisognerebbe ricominciare a pensare in maniera critica nei confronti dei del web in generale e dei social in particolare. Bisognerebbe dare più significato alla propria persona nella relazione con gli altri, con la famiglia, con gli amici, con i colleghi del lavoro. Sviluppare di più attività relazionali, sociali, meno attività solitarie. Ridurre drasticamente l’uso dei social e del web, liberando così la propria mente da questi condizionamenti continuativi che creano delle gravi dipendenze. Ritornare nel rapporto con la natura, con lo sport, con le associazioni artistiche, culturali, teatrali.

Secondo lei Facebook e Instagram andrebbero chiuse?

Siamo entrati nell’era della rivoluzione tecnologica, per cui non è possibile pensare che Facebook o Instagram possano essere chiuse. Nascerebbero tantissimi altri social. Prendiamo ad esempio Trump, quando è stato escluso da facebook, ha creato un proprio social. Pertanto non è la chiusura dei social che permetterà di modificare i comportamenti umani. Piuttosto è lo sviluppo di un’attitudine più riflessiva, critica, analitica che potrà permettere di utilizzare questi strumenti con maggiore attenzione e con quello che i nostri nonni definivano il buon senso.


Appendice 1

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