In Svizzera sono un esercito quelli del multi-impiego. Per lo più donne, due di esse si raccontano. E il sindacalista spiega: «Servono salari minimi degni e limitazioni al lavoro su chiamata»
LUGANO - «Iniziavo a lavorare alle 9 e, con turni a singhiozzo, la mia giornata finiva a mezzanotte». La paga? «In tutto arrivavo a 2.000-2.200 franchi. Quando andava bene 2’500». Marta, nome di fantasia, sulla trentina, è stata una delle 400mila persone che in Svizzera sono costrette a sommare più lavori per sopravvivere tra affitti, cassa malati e spese varie. Da poco la sua vita professionale ha subito una svolta positiva, ma su Tio/20Minuti vuole testimoniare cosa significa finire nel gorgo del multi-lavoro. E non è la sola testimonianza, anche Maria, ex commessa, si racconta.
Sette su sette - «Di formazione ero venditrice, ma ho sempre lavorato anche come cameriera con impiego a ore - dice Marta -. Terminata la stagione turistica ho trovato qualcosina in un ristorante ma le chiamate erano discontinue. Tanto che lo scorso novembre ero arrivata a guadagnare solo 500 franchi al mese. Ma non volevo chiedere l’assistenza, perché mi vergognavo». A dicembre le è chiaro che le poche ore da cameriera non bastano. «Ho trovato allora lavoro in un negozio dove però facevo 50-60 ore al mese». Due impieghi, ma sincopati, che le occupano comunque la settimana. «Sette giorni su sette perché col ristorante anche il weekend era impegnato».
Lo spettro assistenza - Nei mesi dove le chiamate erano più numerose, Marta arrivava a guadagnare 2’500 franchi. «Tolti 1.100 franchi per l’affitto, i pagamenti e il resto... non ci vivi. Ero sempre sfinita, perché spesso mi capitava di aprire il negozio al mattino e chiudere il ristorante la sera. Le vacanze te le scordi. Ammalarti? Non puoi permettertelo». Oggi è una parentesi chiusa: «Alla fine ho dovuto far ricorso all’assistenza, perché ero esaurita e non sopportavo più la gente. Ho capito che dovevo cambiare vita. Ho seguito una formazione e oggi sono autista di mezzi pubblici».
Una vita su e giù - In fuga dalla vendita, Maria ha invece superato da un po’ i 40 e oggi svolge tre lavori: «Ho fatto dieci anni di cassa in un supermercato e non ci voglio più tornare». Da oltre due anni, per sbarcare il lunario il mattino e il pomeriggio lavora come accompagnatrice di allievi su uno scuolabus, nel cuore della giornata è macchinista di funivia e la sera fa le pulizie in uno stabile del Cantone. «Sommate fanno circa dieci ore al giorno. Con il sabato e la domenica impegnati, tranne d'inverno, con la funivia». Una vita su e giù. Sempre di corsa e sul filo delle chiamate a ore. «Alla fine entrano sul conto poco più di tremila franchi. Ma dipende dai mesi». Il sogno? «Riuscire a rinunciare ad uno dei tre impieghi. Ma ottenere più ore finora è stato impossibile».
Unia: «Precarizzazione in crescita» - Ogni situzione ha le sue particolarità, ma i numeri segnano una tendenza al multi-lavoro che Giangiorgio Gargantini, segretario regionale di Unia spiega così: «Questi casi, sempre più frequenti, sono la diretta conseguenza di due fenomeni incrociati che il sindacato denuncia da anni: la precarizzazione dei contratti (aumento esponenziale dei contratti ad ore o a percentuali molto basse) e il dumping salariale». Una deriva, aggiunge, quasi obbligata: «Quando si lavora poche ore a settimana, e per di più per salari spesso indegni, non si può fare altro che accumulare due o anche tre professioni per poter vivere del proprio lavoro! Le misure più incisive e efficaci sono due: salari minimi degni, e limitazioni al lavoro su chiamata e ai contratti che non garantiscono un numero sufficiente di ore di lavoro settimanali»