In Ticino un medico su due viene da oltre confine. Il numero è triplicato in sette anni. Un problema per la vicina Penisola, non per il Dss
BELLINZONA - «Rivoglio i miei medici». Il ministro della sanità tedesco, Jens Spahn, lo ha detto chiaro e tondo in una recente intervista. L'emorragia di specialisti che dall'Ue si trasferiscono in Svizzera, attratti da stipendi più alti, è un problema che «andrebbe limitato con un nuovo regolamento europeo».
Svizzeri in calo - Un fenomeno sempre più importante, anche in Ticino. I numeri forniti a tio/20minuti dall'Ufficio cantonale di sanità parlano chiaro: negli ultimi otto anni il numero di medici italiani negli ospedali ticinesi (pubblici e privati) è più che triplicato. Da 87 nel 2010 a 275 l'anno scorso. Gli svizzeri sono di meno: 266, in calo. Escludendo dal conto gli studi privati, oltre un medico su due nella Svizzera italiana ha il passaporto tricolore. Circa il 14 per cento sono frontalieri e il 22 per cento hanno un permesso B annuale.
«Colpa del numero chiuso» - Il divario si fa ancora più largo per gli assistenti: gli italiani sono 263 (erano 176 nel 2010) mentre i rossocrociati 82. Meno di un terzo. Non a caso la sanità è stata risparmiata finora dal “primanostrismo”. «Senza i professionisti da oltre confine dovremmo semplicemente chiudere metà degli ospedali» ammette il capoufficio dell'Us Stefano Radczuweit. «Il problema è dovuto al numero chiuso. Non formiamo abbastanza medici. A livello federale e cantonale sono in atto degli sforzi per aumentare i posti di formazione. Ma per ora siamo lontani dall'autosufficienza».
Effetto catena - A perderci intanto (economicamente) è piuttosto l'Italia, che «sostiene le spese di formazione ma è costretta a sostituire i medici emigrati con colleghi rumeni – osserva Radczuweit –. È una catena». Il cortocircuito si è aggravato con l'ultima revisione della LPMed, sottolinea il presidente della sezione ticinese della Associazione medici assistenti e capi clinica (Asmact) Davide Giunzioni.
Il fattore linguistico - «La nuova legge impone ai medici un livello di conoscenza B2 della lingua cantonale, che rischia paradossalmente di favorire l’assunzione di colleghi dall’Italia a discapito di quelli provenienti dalla Svizzera tedesca o romanda» osserva Giunzioni. «Inoltre il Granconsiglio ha votato l'obbligo della conoscenza a livello B1 di una seconda lingua nazionale. Questo complica ulteriormente il reperimento di professionisti. Non a caso, contro la decisione l'Eoc ha presentato un ricorso ancora pendente».