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CANTONE«Si sdogana la discriminazione e non ci sono sanzioni dai partiti»

12.11.18 - 19:23
I "negri" di Tuto Rossi sono solo l'ultimo episodio di politici che non frenano la lingua. Il fenomeno e le sue conseguenze spiegate dal politologo Nenad Stojanovic
«Si sdogana la discriminazione e non ci sono sanzioni dai partiti»
I "negri" di Tuto Rossi sono solo l'ultimo episodio di politici che non frenano la lingua. Il fenomeno e le sue conseguenze spiegate dal politologo Nenad Stojanovic

BELLINZONA - «Quando un politico si permette di utilizzare questi termini, la prima conseguenza è lo sdoganamento di questo linguaggio anche agli occhi del pubblico» dice il politologo Nenad Stojanovic. Da Tuto Rossi a Roberta Pantani, passando per Massimiliano Robbiani, la lista dei politici ticinesi autori di sortite razziste o discriminatorie s’allunga. Poco importa se poi, immancabile, arriva la marcia indietro. Il sasso è lanciato.

In cosa il Ticino si differenzia dal resto della Svizzera?

«Dal mio osservatorio (Stojanovic è attualmente ricercatore all’Università di Ginevra, ndr) noto che in Ticino, dal 1991 in poi, tanto per prendere una data non casuale, l’asticella di ciò che viene ritenuto consentito e consentibile dire in pubblico s’è abbassata. Rilevo che se un politico, diciamo pure Udc, nella Svizzera tedesca o francese usasse le medesime espressioni per prima cosa verrebbe richiamato all’ordine dal proprio partito. E, in alcuni casi, penso a chi ha evocato la notte dei cristalli per le moschee, scatta la punizione».

Nel nostro cantone invece…

«Non accade nulla di tutto ciò. Si osserva invece che in Ticino l’Udc e, soprattutto, la Lega tollerano questo linguaggio. Un caso come quello di Robbiani (che paragonò le donne col burqa ai sacchi di spazzatura, ndr), in un altro cantone, sarebbe finito con l’espulsione immediata dal partito. Senza discussioni».

Cosa si può dire invece del fenomeno?

«Occorre innanzitutto distinguere la sfera privata da quella pubblica. È un fatto triste, ma reale, che una fetta minoritaria della popolazione ha opinioni discriminatorie verso certe minoranze etniche o anche “visibili”, quando si parla di persone di colore. Fintanto che tutto ciò viene espresso entro la sfera privata, resta qualcosa di spiacevole ma non ha impatto pubblico».

E se la benzina viene invece versata in pubblico?

«Il problema nasce quando uno si sente libero di esprimere pregiudizi e stereotipi sulla piazza pubblica. Certo c’è il principio della libertà di espressione. Ma queste persone devono sapere che esiste anche la libertà delle persone colpite di portare chi attacca davanti alla giustizia» (art. 261 bis del Codice penale, vedi riquadro).

Davanti alla possibile denuncia, scatta la giustificazione: «Scherzavo!». Troppo facile?

«Certo! Anche perché bisogna ricordare che, al di là dei paletti alla libertà d’espressione che il legislatore e il popolo hanno posto, per chi ricopre un ruolo pubblico c’è l’imperativo etico di prestare particolare attenzione nel tenere i propri pregiudizi per sé. Non si può, sfuggita la frase, banalizzare quanto detto».

 

Libertà d'espressione, non libertà di discriminare

Ecco l'articolo del Codice penale svizzero che alcuni politici (ma anche molti "leoni" da social) dovrebbero mandare a memoria...

Art. 261bis1Discriminazione razziale
Discriminazione razziale

Chiunque incita pubblicamente all'odio o alla discriminazione contro una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia o religione;

chiunque propaga pubblicamente un'ideologia intesa a discreditare o calunniare sistematicamente i membri di una razza, etnia o religione;

chiunque, nel medesimo intento, organizza o incoraggia azioni di propaganda o vi partecipa;

chiunque, pubblicamente, mediante parole, scritti, immagini, gesti, vie di fatto o in modo comunque lesivo della dignità umana, discredita o discrimina una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia o religione o, per le medesime ragioni, disconosce, minimizza grossolanamente o cerca di giustificare il genocidio o altri crimini contro l'umanità;

chiunque rifiuta ad una persona o a un gruppo di persone, per la loro razza, etnia o religione, un servizio da lui offerto e destinato al pubblico,

è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria.

 

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