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MEZZOVICOIngenuità e poca conoscenza: così quel video è diventato virale

20.11.17 - 09:30
Dalle ragazzine nude su DropBox alla goliardata di due volontari in Burkina Faso. Eleonora Benecchi, esperta di culture digitali: «Manca educazione»
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Ingenuità e poca conoscenza: così quel video è diventato virale
Dalle ragazzine nude su DropBox alla goliardata di due volontari in Burkina Faso. Eleonora Benecchi, esperta di culture digitali: «Manca educazione»

MEZZOVICO – Il video goliardico di due volontari ticinesi in Burkina Faso fa il giro del mondo. È un filmato in cui si mostra il pene di un bambino, particolarmente dotato. Una faccenda tra membri dello staff dell’associazione, con sede a Mezzovico. Diffusasi, invece, a macchia d’olio. Provocando non poche sofferenze ai due volontari. Due ottime persone, stando a chi li conosce. Che, tuttavia, hanno sottovalutato le conseguenze delle loro azioni. «Ci manca ancora la consapevolezza – sostiene Eleonora Benecchi, docente di culture digitali all’Università della Svizzera italiana (USI) –. Prima di fare circolare qualsiasi contenuto in rete, dobbiamo sempre chiederci se siamo disposti ad accettare che quel contenuto poi resti per sempre in circolazione».

Il caso dei due volontari in Africa ricorda, per ingenuità e scarsa conoscenza della materia, quello della trentina di ragazzine ticinesi finite con le loro foto, nude, in una gigantesca raccolta che circolava di chat in chat, tramite WhatsApp. La vicenda finì in Magistratura. Perché la gente continua a ricascarci?

Perché non abbiamo ancora la concezione del fatto che mettere qualcosa in rete può avere una connotazione permanente. Non pensiamo abbastanza al senso delle parole “pubblicare” e “inviare”. WhatsApp è uno strumento che permette di aprire chat di gruppo. Già solo per questo motivo, non si può avere la certezza matematica che un video o un’immagine possa restare per forza solo tra due persone. La stessa cosa vale per i social network. Espandono e amplificano relazioni, rapporti e contenuti. Anche a distanza di anni.    

Statisticamente quali sono i contenuti più portati per diventare virali?

Secondo un autorevole studio australiano dell’Ehrenberg-Bass Institute, i video con contenuto positivo e umoristico hanno il 40% di possibilità in più di essere condivisi rispetto a quelli che suscitano emozioni negative. In ogni caso funzionano le emozioni forti, estreme. Stupore, euforia, choc, disgusto. Oppure, come spiega Jonah Berger nella pubblicazione “Contagious”, i contenuti che, una volta condivisi, ci fanno apparire meglio di ciò che siamo. Inoltre, più vediamo condividere un contenuto, più siamo spinti a fare altrettanto.  

I teenagers sono specialisti nel condividere contenuti virali. Non è preoccupante?

I dati degli studi “James” e “Mike”, che svolgiamo all’USI sotto la direzione dell’Istituto di psicologia applicata di Zurigo, ci danno alcune indicazioni. In Svizzera il 97% dei ragazzi tra i 12 e i 19 anni possiede uno Smartphone. Il 94% è iscritto almeno a un social network. Il 33%, invece, si è visto caricare in rete contenuti personali senza il proprio consenso. Il 21% è stato approcciato online con intenti sessuali. Sviluppare progetti di educazione al corretto uso dei media è un dovere. Non solo un bisogno. Non viviamo più con i media. Viviamo nei media.  

Da anni la scuola sta cercando di educare i giovani al rapporto con le nuove tecnologie. Non basta?

Non serve educare solo i giovani. Anche gli adulti hanno bisogno di un’educazione alle competenze mediali. La famigliarità con i media non significa averne consapevolezza. Posso conoscere benissimo come funziona un'applicazione, ma ciò non vuol dire averne consapevolezza d'uso. Una volta che un contenuto inizia a circolare in rete, difficilmente lo si può fermare. Eppure spesso condividiamo contenuti senza farci una domanda fondamentale: voglio mostrare a tutti, e anche in futuro, questa parte di me?

 

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