Mario Botta ha ripercorso questa mattina l'intervento edilizio del 1967. L'incontro con il pubblico si terrà sabato pomeriggio
CAPRIASCA - Cinquant’anni e non sentirli, come si suol dire. È trascorso infatti mezzo secolo dall’inaugurazione - era il lontano 1967 - dell’attuale cappella del Bigorio, nell’omonimo convento fondato nel 1535, progettata da Tita Carloni e Mario Botta, ai tempi giovane studente in architettura.
Ricavata da un’antica legnaia, l’opera è il frutto di una profonda ricerca simbolica. «L’idea motrice» - scrisse padre Giovanni Pozzi - «esprime povertà e letizia. La povertà è espressa nei mezzi impiegati: catrame per il pavimento, legno per l’arredamento, piombo per la statuetta della Madonna, opera di Pierino Sulmoni. La letizia si legge nei colori dell’arredamento: rosso vivo ed azzurro per i banchi ed il leggio, giallo e bianco per il tabernacolo. Si è così ottenuto un ambiente che è allo stesso tempo acceso e riposante: una combinazione quasi paradossale, ma che risponde sul piano della percezione visiva e tattile alle note psichiche che distinguono la preghiera e la contemplazione delle realtà ultrasensibili».
Momenti vissuti e ripercorsi durante la conferenza di giovedì mattina dallo stesso architetto ticinese, assieme al teologo Don Azzolino Chiappini, che ha illustrato i criteri che allora guidarono l’intervento edilizio alla cappella, in attesa di accogliere i visitatori nel corso della presentazione al pubblico di sabato 11 novembre.