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GIUBIASCO«Viviamo così, senza corrente né toilette»

24.08.17 - 08:32
Come vivono i nomadi Jenisch accampati in Ticino? Siamo andati a trovarli. E a capire perché invocano una nuova sistemazione
foto tio.ch/20min
«Viviamo così, senza corrente né toilette»
Come vivono i nomadi Jenisch accampati in Ticino? Siamo andati a trovarli. E a capire perché invocano una nuova sistemazione

GIUBIASCO - Mario afferra il microfono del karaoke. «Sono le 10» dice «è ora della riunione» e la sua vociona echeggia tra le roulottes. Il campo nomadi di Giubiasco si sta svuotando dopo il “pienone” estivo. «Il regolamento cantonale non ci permette di fermarci qui più di due settimane di fila, comunque» spiega Mario, 46 anni, pittore di professione e coordinatore della comunità. «Una volta eravamo molti di più, per tutto l'anno» aggiunge con rammarico.

Situazione provvisoria - I nomadi Jenisch e Sinti di passaggio in Ticino – una quarantina sull'arco di un anno – hanno a disposizione “provvisoriamente” un'area di sosta in via Seghezzone, ma sono in cerca di una sistemazione definitiva. La Polizia cantonale, come riferito nei giorni scorsi da tio.ch/20minuti, ha avviato trattative su «un paio» di sedimi, che potrebbero ospitare le roulottes 365 giorni l'anno. «Ci è stato garantito che questa è l'ultima estate che passiamo a Giubiasco» spiega Mario.

Senza elettricità né toilettes - Il campo – messo a disposizione dal Comune – è inaccessibile dall'autunno alla primavera. Ma è privo di elettricità e di toilettes. Per fare il bucato, la moglie di Mario usa due lavatrici collegate a un generatore. «Facciamo la doccia nelle roulottes» spiega Albert, anche lui nomade originario di Friburgo. «Il caldo però è fortissimo. E senza corrente non possiamo attivare i condizionatori». Di ombra neanche a parlarne: sul sedime non ci sono alberi. «Bambini e donne passano le giornate al fiume o al lago in cerca di fresco. Noi mariti invece lavoriamo» precisa Jeff, che svolge lavoretti di ristrutturazione porta a porta. «Ci dobbiamo spostare di continuo - aggiunge - per cercare nuovi clienti».

«È la nostra cultura» - E la scuola, che sta per cominciare? I bambini si spostano da un istituto all'altro – «un mese qua, un mese là» – ma «fino a che compiono 13 anni i genitori cercano di non spostarsi troppo». Dopo la scuola dell'obbligo diventano apprendisti - dei loro stessi genitori, in genere. «La nostra società funziona così, difficilmente qualcuno accede agli studi superiori» spiega Albert, che ha partecipato a dei tavoli federali in rappresentanza della comunità, per spiegare «alle autorità cosa significa la cultura Jenisch».

La "terra promessa" - L'atteggiamento delle istituzioni del Canton Ticino è cambiato nel corso del tempo, secondo Albert. «Il Consigliere di Stato Norman Gobbi, ad esempio, inizialmente aveva forse dei preconcetti nei nostri confronti. Ma lo abbiamo incontrato e, dopo aver capito che siamo cittadini qualunque, e rispettiamo la legge, ha cambiato idea. Ora si è impegnato a trovarci un posto» ricorda Albert.

«Disturbano i turisti» - Su un punto tutti tengono a essere chiari: «Non siamo qui in vacanza». Il problema è che, in assenza di un vero campo permanente, alcune famiglie «sono costrette a rivolgersi a campeggi privati» dove – confermano da un camping della zona – non mancano le incomprensioni con i turisti. «Da due anni a questa parte sono costretto a non accogliere più i nomadi» spiega il gestore di un campeggio privato. «I turisti si lamentano per il disturbo e il rumore» racconta a tio.ch/20minuti, chiedendo di rimanere anonimo. «È chiaro, facciamo rumore, lavoriamo, non cerchiamo il relax: per noi questa è la vita normale» sbotta Albert.

Diritti e tradizioni - Per questo la Costituzione federale garantisce agli Jenisch e Sinti svizzeri il diritto a uno spazio fisso in ogni cantone. «Abbiamo diritto alle nostre tradizioni, dovunque andiamo» conclude Mario che è anche pastore (gli Jenisch sono cristiani evangelici) e inizia a officiare nella veranda di una roulotte, predicando nel microfono del karaoke. «La casa di Dio può essere un prato, una tenda, ovunque». Uno a uno la comunità accorre ad ascoltarlo, tutta orecchi, prima di ripartire.

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