È boom di interrogazioni, ben 78 nel primo trimestre. “Colpa” di Argo 1 e dello scandalo permessi. Il cancelliere di Stato: «Più il dibattito politico è acceso, più fioccano gli interrogativi»
BELLINZONA – Boom di interrogazioni da parte dei granconsiglieri ticinesi verso il Governo. Nel primo trimestre del 2017 se ne registrano 78, contro le 51 dell’anno precedente. In proiezione, se il trend dovesse continuare, entro fine anno si potrebbe facilmente superare quota 300. Una follia. A questa cifra andrebbero aggiunte mozioni, interpellanze e iniziative. «A volte – spiega il cancelliere di Stato Arnoldo Coduri – i parlamentari pongono le domande, pur sapendo che alcuni dati non sono divulgabili».
L’impennata – Un trend mai in voga come in questo preciso periodo. La vicenda Argo 1 e lo scandalo permessi stanno facendo spendere fiumi di inchiostro ai granconsiglieri ticinesi. «Più il dibattito politico è acceso – conferma Coduri – più fioccano le interrogazioni. Le recenti vicissitudini, che hanno coinvolto l’Amministrazione cantonale, hanno contribuito a questa impennata. A volte i parlamentari pensano che mandando avanti tante interrogazioni, riescano ad accelerare il dibattito. Non sempre è così. Ci sono anche problemi oggettivi. Nel senso che, in alcune circostanze, il Consiglio di Stato non può dare risposte concrete perché i temi in questione sono ancora in discussione».
Auto promozione e poca sintesi – Tra interrogazioni bis, o addirittura tris, magari inoltrate per farsi pubblicità, e altre redatte in maniera poco sintetica, tanto da richiederne più volte la lettura, il Governo si trova spesso in difficoltà. Allo stesso tempo, diversi parlamentari si lamentano per i tempi biblici di risposta.
Voglia di risposte – C’è chi, come Matteo Pronzini (MPS), parla apertamente di lungaggini da parte del Governo nel dare le risposte ai parlamentari. «In gennaio – fa notare Pronzini – una mia iniziativa parlamentare generica, che obbliga il Governo a rispondere in modo non selettivo a interrogazioni e mozioni, è stata approvata all’unanimità». E c’è chi come Germano Mattei (Montagna Viva) spinge addirittura per “introdurre l’ora delle domande” prima di ogni sessione del Gran Consiglio. «Sarebbe un modo per snellire la mole di incarti che giungono sulle scrivanie del Governo», sostiene Mattei.
Fai da te – Va considerato, però, anche l’altro lato della medaglia. Puntualmente, leggendo alcuni atti parlamentari inoltrati al Consiglio di Stato, si capisce come i granconsiglieri potrebbero facilmente trovare le risposte da soli su internet o nella documentazione cartacea già esistente. Perché non lo fanno? «Il parlamentare – dice Coduri, un po’ diplomaticamente – ha il diritto di interrogare il Governo su temi di interesse pubblico».
Tempi e costi lievitano – Il filtro viene messo in atto dai servizi del Gran Consiglio, di regola i testi sono poi inoltrati alla cancelleria di Stato. Ancora il cancelliere: «I tempi di risposta, salvo eccezioni, sono standard. Due mesi per le interrogazioni, sei mesi per le mozioni. Più sono gli incarti, più sono necessarie ore di lavoro. Servono almeno un paio d’ore per trattare ogni singola interrogazione. È chiaro che tutto questo genera dei costi».