Una petizione firmata da molti cittadini di Capriasca chiede che il Consiglio di Stato intervenga per bloccare l’espulsione di un iracheno in Ticino da 15 anni
CAPRIASCA - Di questi tempi si parla molto di integrazione, senza che la si possa definire con precisione. Però, quando vicini, amici e compaesani si mettono davanti alla porta per evitare che si porti via qualcuno, lo si capisce: quella persona è integrata nella sua comunità. Lui è Azad Mohamed, 36enne iracheno in Svizzera dal 2001, e la comunità è quella di Capriasca. Proprio oggi sono state consegnate 166 firme a Bellinzona per chiedere che si blocchi la sua espulsione verso l’Iraq dove, dopo 16 anni di assenza, non ha né un posto dove vivere né qualcuno che lo aspetti.
Espulsione - Azad deve andarsene, lo ha deciso la Segreteria di Stato della migrazione. Un verdetto su cui pesano i precedenti penali dell’uomo e il fatto che anni fa abbia cercato di ritornare nel paese da cui era scappato. Una decisione che appare giusta e solida finché non si ascolta la storia di Azad.
Le condanne - I decreti d’accusa emessi nei confronti del 36enne sono tre. Il primo, risalente al 2004, riguarda il furto di una confezione di carne in un supermercato. Gli altri la detenzione, per uso personale, di piccole quantità di stupefacente. Lui, ricordando questi episodi, abbassa lo sguardo e ammette: «Ho sbagliato».
Il ritorno - Vi è poi quel ritorno in Iraq. È successo quando in Svizzera giunse la notizia dell’uccisione di entrambi i suoi genitori. Azad cercò di rientrare per far visita al luogo dov’erano sepolti. Arrivò solo fino in Turchia, lì a fermarlo furono le tensioni al confine con il Kurdistan e quella stessa guerra che l’aveva trasformato in migrante.
Il lavoro - In Turchia, con qualche lavoretto, Azad riuscì a pagarsi un secondo viaggio della speranza. Tra passatori, chilometri infilato sotto ai camion e carrette del mare riuscì a tornare in Svizzera. Poi, 11 anni fa il suo permesso N (da richiedente) viene tramutato in F (ammesso provvisoriamente) e può iniziare a lavorare.
Il paese - È a Tesserete che la vita di Azad sembra finalmente ripartire: trova un impiego come lavapiatti al Ristorante Stazione. La famiglia Besomi, che gestisce il locale, lo accoglie come un figlio. Lui impara la lingua e parla con la gente. Vive degli amori. «Amo questo paese come se fosse il mio. Ho trovato amici, gente che mi vuole bene. Qui ho trovato un lavoro e una famiglia».
Tira e molla - Oltre un decennio che Azad Mohamed trascorre da capriaschese. Anni durante i quali avrebbe anche potuto prendere qualche scorciatoia. Basti pensare che aveva anche trovato una donna che lo avrebbe sposato. «Ma non l’amava e non l’ha voluto fare solo per il permesso», raccontano gli amici. Poi sono arrivati i bisticci con la vita, e con la droga, che gli hanno presentato il conto: invece di ottenere il permesso C, gli viene tolto anche quello F. Inizia così un tira e molla con le autorità, fatto in silenzio da Azad e dal suo datore di lavoro. In paese nessuno sapeva niente.
Il termine ultimo - La storia inizia a girare solo quando l’espulsione diventa definitiva. Un ultimo rinvio è concesso per motivi di salute: all’uomo viene rimosso un tumore, fortunatamente benigno, al polmone. Ma a fine febbraio scade il termine: Azad Mohamed dovrà lasciare la Svizzera. Tesserete non ci sta, una petizione promossa da Daniele Rossetti raccoglie 166 firme.
Solo chi lo conosce - «Se avessimo voluto migliaia di firme le avremmo trovate, ma ci tenevamo che la richiesta di rivalutare il caso fosse firmata solo da chi conosce Azad, da chi lo apprezza e gli vuole bene». Insomma, l’iracheno è uno di famiglia e la sua famiglia non accetta di mandarlo dove rischia la vita: «la situazione nel suo Paese è tutt’altro che rosea, siamo preoccupati per lui».
Ingiusto - Inoltre a Tesserete sono tutti convinti che se si approfondisse il dossier di Azad la decisione sarebbe diversa: gli sbagli commessi sono stati «di lieve entità non tali da giustificare un provvedimento d’espulsione», si legge. Non tali, comunque, da cancellare ciò che l’uomo ha fatto e quell’integrazione conquistata coi fatti: «Quando l’ho conosciuto biascicava qualcosa, adesso parla italiano. E non ha mai pesato sulla collettività, ha sempre lavorato e pagato le tasse», conclude Rossetti.