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LUGANODiventa prete a 69 anni: «Mia moglie morente mi ha indicato la strada»

22.06.16 - 08:56
Crisi di vocazioni nella Chiesa cattolica: l’incredibile storia di don Stefano Haulik, oggi cappellano della clinica Moncucco
Tio
Diventa prete a 69 anni: «Mia moglie morente mi ha indicato la strada»
Crisi di vocazioni nella Chiesa cattolica: l’incredibile storia di don Stefano Haulik, oggi cappellano della clinica Moncucco

LUGANO - Chiesa cattolica in crisi di vocazioni? Sarà. Ma c’è anche chi decide di diventare prete a 69 anni. La storia di don Stefano Haulik, oggi 73enne, ha qualcosa di straordinario. A fargli intravedere il destino da sacerdote nel 2008 è infatti stata Elena, la moglie morente, malata di tumore al cervello. Oggi don Stefano, un passato da insegnante di matematica e religione nelle scuole medie ticinesi, è cappellano alla clinica Moncucco di Lugano. «E sono tutti i giorni a contatto con la sofferenza. Per me è come un cerchio che si chiude, era la mia missione».

Don Stefano, perché ha deciso di fare il prete a 69 anni?
«Mia moglie era malata da due anni. Quando, poi, al Civico ci comunicarono che la medicina non avrebbe più potuto aiutarla, lei per consolarmi mi disse: “Stefano, vedo che andiamo incontro a cose grandi, e già adesso fremo di curiosità per come sarà”. Poche settimane prima della sua morte mi raccomandò di non gettare alle ortiche la mia licenza in teologia, che tenevo in un cassetto, e mi sussurrò: “Va dal vescovo, avrà bisogno di te”».

E lei dal vescovo ci è andato?
«No. Dopo la morte di Elena, mi sentivo disorientato. Fino a quel momento avevo fatto l’ingegnere edile e l’insegnante. Non avevo mai pensato al sacerdozio. Anche perché non sentivo di avere la vocazione. Passarono 7-8 mesi. Un giorno, parlando con il parroco di Sorengo, don Gianni, gli cofidai il mio “segreto”. Lui mi incoraggiò. Spinto anche da mia figlia Marta, andai sulla tomba di mia moglie. E le chiesi aiuto. Pochi giorni dopo, decisi. Andai dal parroco e gli dissi che ero pronto per fare il prete. Da allora non ho mai più avuto ripensamenti».

E poi?
«Dopo un anno di seminario, sono stato ordinato sacerdote da Monsignor Grampa. Un giorno il vescovo mi propose di fare il cappellano della clinica Moncucco. Mi disse che c’era bisogno di uno come me. Prima però mi mandò per un mese a Verona, a fare un corso di pastorale clinica».

Lei ha due figlie (e tre nipoti). Come hanno preso questa sua scelta?
«Sono stato sostenuto sotto ogni punto di vista. La fede in casa nostra è sempre stata importante».

Qual è il suo compito principale all’interno della clinica?
«Dare sostegno alle persone sofferenti. Metto anche il mio vissuto a disposizione dei pazienti. Non è facile. C’è chi ce l’ha con Dio per la situazione in cui si ritrova. Altri sostengono che proprio la malattia è la prova che Dio non esiste».

E lei cosa risponde?
«Io sono convinto che la vita sia un mistero con un senso. Credo in un Dio che possa raddrizzare tutte le disparità. La sofferenza spesso aiuta a ritrovare il contatto con Dio. Su questa terra siamo davvero solo di passaggio».

Cosa pensa del suicidio assistito?
«Fino a prova contraria è Dio che ci dona la vita. Un giorno ho parlato con una signora che avrebbe perso una gamba. E per questo voleva fare ricorso a Exit. Le ho fatto cambiare idea. Tutti noi, dopo la morte avremo un confronto faccia a faccia con Dio. Con che coraggio si presenta a questo incontro una persona che ha “rimandato a Dio il dono della vita” come un dono non più gradito? La nostra vita è un tempo talmente breve che non vale la pena compromettere quello che segue».

Lei ha frequentato il seminario in età avanzata e ha avuto a che fare con tanti giovani aspiranti preti. Perché le vocazioni degli svizzeri continuano a calare?
«Probabilmente c’è un certo timore. Perché oggi il prete è sempre più solo, le comunità parrocchiali non vivono più la fede con l’entusiasmo che merita. I cristiani sono poco “fieri” della loro fede. Lo capiamo anche dalla tendenza di volere togliere i simboli religiosi dai nostri luoghi pubblici«.

Ecco, cosa pensa di questo fenomeno?
«A 8 anni frequentavo l’oratorio dei salesiani a Bratislava. Ho visto la polizia e l’esercito comunista bruciare le croci nel cortile. La mentalità laicista, i liberi pensatori, ci portano verso un vuoto religioso, ci fanno perdere l’identità cristiana».

Però la Chiesa, intesa come istituzione, fa poco per mantenere viva la dedizione dei fedeli. Periodicamente emergono nuovi scandali…
«Gli scandali nella Chiesa ci sono sempre stati. Tutta la storia è segnata da problemi del genere. E non dimentichiamoci che uno dei dodici discepoli ha tradito Gesù. Su centoventi preti, dieci preti “traditori” che creano scandalo, li troverai sempre».

Sì. Ma intanto in Vaticano ci sono alti prelati che vivono nel lusso. Lei come reagisce di fronte a questi dati di fatto?
«Anche io provo disagio vedendo certe cose. Si tratta di poveri illusi che dovranno rispondere di queste loro scelte. E mi spiace per come questi messaggi poi vengono recepiti dall’opinione pubblica. È umano che alcuni fedeli si scoraggino. Vorrei però ricordare che ci sono anche tanti buoni esempi nella Chiesa. E di quelli si parla poco».

Diventare prete cattolico presuppone il voto di castità. Lei è stato sposato, ha una famiglia. Non trova che questa rinuncia sia un po’ anacronistica pensando ai giovani candidati al sacerdozio?
«Oggi le tentazioni di carattere sessuale sono ovunque. Io stesso forse mi sentirei in difficoltà al posto di un giovane prete. Servirebbe avere delle comunità sacerdotali, in cui 3-4 preti possano condividere i problemi della casa, della mensa, ed entusiasmarsi a vicenda. Lo ripeto: oggi il prete è sempre più solo, non è abbastanza sostenuto dalla sua comunità parrocchiale. Ed è anche la paura della solitudine che forse frena le vocazioni».

Lei è favorevole al matrimonio dei preti cattolici?
«Io sono favorevole al sacerdozio dei “viri probati”. Di quegli uomini, già sposati e padri di famiglia, che, maturata una solida esperienza di fede, a un determinato punto della loro vita, quando i figli sono magari già sposati e la moglie inizia a essere più occupata coi nipoti, scelgono di dare servizio alla Chiesa come preti. Per il resto, io penso che un giovane possa vivere da consacrato, in una comunità religiosa o monastica, o fare il prete, ma solo se ne è veramente convinto al 100%. Altrimenti è meglio lasciare perdere o maturare».

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COMMENTI
 

mambo 7 anni fa su tio
L"ho conosciuto a Moncucco! E" in gamba !

censurato 7 anni fa su tio
"La mentalità laicista, i liberi pensatori, ci portano verso un vuoto religioso, ci fanno perdere l’identità cristiana" Se bastassero effettivamente i cosidetti "liberi pensatori" a far vacillare la propria fede sarebbe opportuno farsi due domande sulla solidità di essa. Non incolpiamo chi ha un'opinione diversa. Se un individuo avesse una fede solida in primo luogo questo non succederebbe. "[...]non vivono più la fede con l’entusiasmo che merita[...]tendenza di volere togliere i simboli religiosi dai nostri luoghi pubblici[...]" Che scopo ha avere un crocifisso che ti fissa mentre si imparano le tabelline alle elementari? O alle medie dove si insegna l'evoluzione? O in un tribunale dove si condanna in prigione qualcuno? Mica basta il pentimento per redimersi dal peccato? O è per tenere lontani i vampiri? :-)

KilBill65 7 anni fa su tio
Risposta a censurato
Ma per dire tutte queste cose lo conosci personalmente?....
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