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LUGANOLicenziato dalla Deltacarb: “Ecco perché l’abbiamo fatto”

06.02.15 - 06:09
La parola all’amministratore, che replica alle accuse: “È stato lui a chiedercelo, noi non volevamo. I tagli di stipendio? Inevitabili per un’azienda piccola”.
Licenziato dalla Deltacarb: “Ecco perché l’abbiamo fatto”
La parola all’amministratore, che replica alle accuse: “È stato lui a chiedercelo, noi non volevamo. I tagli di stipendio? Inevitabili per un’azienda piccola”.

LUGANO - L’altra faccia della medaglia e della storia ha lineamenti femminili e modi pacati. C’era lei all’altro lato della scrivania, nella stanza dove lunedì 26 gennaio si è deciso il licenziamento di Lanfranco Sburlino: dipendente Deltacarb dal 1999, congedato dall’azienda dov’era responsabile di produzione per aver rifiutato il taglio di stipendio del 15% imposto ai frontalieri. Amministratore e responsabile commerciare, Chantal Romagnoli pare raccontare cose nuove, inaudite: «Non avevamo alcuna intenzione, mi creda. È stato lui a domandarlo».

Di essere allontanato?
"Esatto. Quella persona ci ha chiesto di mandargli la lettera di disdetta di sua spontanea volontà. Quando sento parlare di “licenziamento”, reagisco sempre ancora un po’ stupita. Mi viene quasi il dubbio che si voglia metterci alla prova".

Ci racconta com’è andata quel giorno, secondo lei?
"Lunedì 26 gennaio, dopo l’assemblea del venerdì in cui abbiamo comunicato al personale la decisione dei tagli, tutti i dipendenti sono stati convocati in ufficio. Volevamo spiegare a uno a uno la maniera con cui erano stati elaborati i conteggi dello stipendio: non ci piaceva l’idea di mandare una busta paga e non aggiungere nulla. E, beninteso, non abbiamo preteso alcuna firma da nessuno: niente di scritto. Lui non ha ascoltato. Ci ha detto subito: “Fermi. Mandatemi pure la lettera”.

Non ha semplicemente accettato il vostro aut-aut?
"Noi non abbiamo mai parlato di licenziamento. Anzi, gli abbiamo domandato se fosse sicuro: trovare un altro lavoro non è facile. “Non preoccupatevi, io sono già a posto”, ci ha risposto. La lettera è venuta di comune accordo, non da una decisione unilaterale".

L’avete messo nero su bianco?
"Esattamente. Se ne parla nella lettera stessa, “comune accordo in seguito al colloquio intervenuto”. Noi non avevamo certo intenzione di perdere un dipendente che sta con noi da oltre dieci anni. Magari ha sottovalutato la portata della reazione avuta. Da parte mia, sono molto tranquilla. So com’è andata, per fortuna c’erano altri testimoni".

Lui sostiene che si potevano adottare altre misure, per esempio una riduzione dell’orario di lavoro. Ve l’ha forse suggerito?
"In un momento di difficoltà casomai le ore di lavoro si aumentano, non si riducono. Non mi sembra una buona soluzione".

Altre non ce n’erano?
"Non è la prima crisi che attraversiamo. Dobbiamo contenere i costi, che per una piccola-media impresa sono comunque alti. Tagliamo dove possiamo, non abbiamo spese in esubero da limare. Sono passati tre anni dall’ultima caduta dell’euro, ci eravamo appena ripresi. Avevamo provato a riconquistare la nostra quota di mercato, l’anno scorso abbiamo anche commesso l’azzardo di un investimento per un nuovo macchinario. Ed ecco la doccia fredda. Proprio non ce l’aspettavamo".

Davvero in 15 giorni appena già sentite gli effetti del franco forte?
"Certo. I clienti dell’area euro fanno finta di nulla e ordinano ai prezzi dell’anno scorso. Noi perdiamo il 20%. Se chiediamo incrementi, non sono d’accordo. Clienti svizzeri ne abbiamo pochi. Arrivano piuttosto richieste di sconto. Ma noi non possiamo permetterceli, la concorrenza è forte e noi siamo troppo piccoli. Così le aziende svizzere cercano alternative più economiche all’estero".

Ora i sindacati vi chiedono di fare un passo indietro. Che cosa rispondete?
"Se abbiamo deciso di prendere questa direzione, è perché la situazione è delicata e la richiede: dunque manteniamo la nostra posizione".

Chi vi ha fatto i conti in tasca vi domanda: davvero 10mila franchi al mese negati agli operai fanno la differenza?
"La somma è più alta. Ci sono anche le prestazioni sociali, per esempio, da tenere in considerazione. Abbiamo calcolato un risparmio di circa 20mila franchi al mese. Una cifra importante".

A infastidire di più è stata la retroattività della misura: perché una scelta così attaccabile?
"Noi diamo degli stipendi mensili, non paghiamo a ore. Se abbiamo agito nell’immediatezza, è perché non si poteva aspettare. Abbiamo sfruttato la prima occasione utile. Bisognava reagire subito a una situazione del genere. Forse in questo abbiamo una parte di torto: ma ci sembrava il minimo".

La situazione è davvero così problematica?
"La nostra azienda è in salute. Controlliamo i conti regolarmente. Però siamo una realtà modesta. I nostri concorrenti hanno 2-3mila dipendenti, non 29 come la Deltacarb. Competere è difficile, tanto più sui mercati esteri dove i costi sono più bassi. Le grosse industrie hanno un polmone finanziario che può servire in momenti critici come questo. Noi no".

Intende dire che non avete margini?
"Proprio così, vietato sbagliare. Noi ci sentiamo responsabili anche nei confronti dei lavoratori. Tutto è sulle nostre spalle, non possiamo rischiare. Dobbiamo ragionare su previsioni pessimistiche. Speriamo poi si rivelino troppo pessimistiche. Ma meglio così che essere colti alla sprovvista".

Lei dice che è stato il lavoratore a chiedere il licenziamento, i sindacati invece vi chiedono in sua vece di riaccoglierlo nell’organico. Lo farete?
"Sono stupita io per prima. Lasciamo calmare le acque, poi chiederemo spiegazioni. Non vogliamo creare tensioni. Andiamo avanti, vediamo come si comporta".

Ma se vi chiedesse di essere reintegrato, sareste disponibili?
"Difficile dirlo nell’immediato. Dovremo discuterne con lui. Ripeto, siamo sorpresi. È anche un capo reparto, una persona in una buona posizione. Certo le sue affermazioni non ci mettono in una bella luce. Prima di dire cose che possono nuocere agli altri, è bene pensarci".

L’eventuale azione legale vi preoccupa?
"No. Vi faremo fronte. Sicuramente non è piacevole".

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