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INTERVISTAJohnnie To: "Non mi sento un eroe come i personaggi dei miei film"

10.08.12 - 14:10
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Johnnie To: "Non mi sento un eroe come i personaggi dei miei film"

LOCARNO - Camicia bianca, occhiali neri, sigaro in bocca. Un'attitudine da star, ma senza eccedere. Quanto basta per il suo ruolo di leggendario regista e produttore. E soprattutto senza essere sopra le righe;  gli inglesi lo chiamano “understatement”. Insomma, niente retorica per un personaggio eclettico.

Johnnie To (Hong Kong, 22 aprile 1955) ha fondato, insieme al collega Wai Ka-Fai, la Milkyway Image, casa di produzione che alla fine degli anni Novanta rinnovò profondamente il cinema di Hong Kong, in special modo il genere noir. Produttore anche di western orientali e di pellicole horror, To è uno dei registi asiatici più amati da Quentin Tarantino. Locarno ha conferito al camaleontico regista cinese - padre di quella che viene definita la Hong Kong New Wave - un Pardo alla carriera.

Quando è stato il suo primo approccio con il mondo dello spettacolo?
“All'età di 17 anni, come assistente agli studi televisivi di Hong Kong TV. Non avevo molta formazione cinematografica, per cui l'esperienza in televisione mi è servita moltissimo. Ho imparato un sacco di cose. Più tardi sono diventato esecutore produttivo e regista per alcuni programmi”.

Perché ha deciso di fondare la Milkyway?
“Nel 1996 abbiamo deciso, con il mio amico Wai Ka-Fai, di fondare la nostra casa di produzione cinematografica alla scopo di premiare la creatività e l'originalità dei realizzatori. Volevamo prendere le distanze dai film commerciali di Hong Kong”.

Qual è la filosofia della sua casa di produzione?
“Siamo tuttora rimasti un piccolo gruppo e la nostra attenzione, oltre al cinema di Hong Kong, riguarda anche il sud-est asiatico. La nostra filosofia è l'indipendenza. Fino al 2005 ci siamo preoccupati di stabilizzare la nostra società, dal 2006 ci dedichiamo alla ricerca di nuovi talenti. La nostra filosofia è anche quella di valorizzare il lavoro collettivo. Per questo nei nostri film non vengono mai specificati i ruoli, a favore, appunto, della firma collettiva dell'opera. Se è vero che prestiamo molta attenzione alle produzioni indipendenti, non escludiamo a priori film commerciali e di cassetta, purché siano di valore”.

Milkyway è allora come una grande famiglia?
“In un certo senso sì: dentro le mura ci sono registi, sceneggiatori, attori e cerchiamo di motivarci a vicenda. Lo scambio è molto importante. E conservandolo in casa,  con tutte le idee che emergono nelle nostre discussioni, possiamo crescere più forti, senza temere che grandi talenti fuggano a Hollywood per realizzarsi”.

Quando gira un film pensa al pubblico?
“No, penso a quello che voglio raccontare e come lo voglio raccontare. Se una cosa non mi convince o non mi va, lascio perdere, anche se potrebbe piacere al pubblico”.

Lei ha una metodologia tutta speciale, scrive durante le riprese...
“E' vero, scrivo durante le riprese, quindi tutto può cambiare in fretta. Dipende da caso per caso. A volte per ultimare un film mi ci vogliono dai due ai tre anni, a volte meno. Rimaneggio le sceneggiature più volte, riprendendole, lasciandole e riprendendole di nuovo. Mentre realizzavo il  mio film PTU, ne ho girati altri sette (ride, mentre continua a gustarsi il suo sigaro)”.

Nel 2009 ha presentato il film “Vendicami”, in cui il protagonista è la rockstar francese Johnny Hallyday. A Cannes aveva detto che dopo la realizzazione di questo lungometraggio, si sarebbe preso una vacanza perché ne aveva bisogno. Dove è andato?
“Andato? Dove? Veramente ho lavorato a Hong Kong, occupandomi non solo di film, ma anche di sceneggiature e di allacciare contatti con giovani cineasti. Insomma, in una casa di produzione ci si deve preoccupare di un sacco di dettagli; ci sono molti compiti e doveri. La mia vera vacanza è venire qui, al Festival del film di Locarno.

I suoi film sono pieni di azione, di personaggi forti. Le somigliano?
“Non mi sento un eroe come i personaggi dei miei film. Sono una persona normalissima” (ride).

 

 

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