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MENDRISIOLegato mani e piedi al letto: "Sono casi estremamente gravi"

24.05.12 - 10:33
Dopo la denuncia della sorella di un paziente, la dottoressa Raffaella Pozzi spiega il perché della "contenzione fisica"
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Legato mani e piedi al letto: "Sono casi estremamente gravi"
Dopo la denuncia della sorella di un paziente, la dottoressa Raffaella Pozzi spiega il perché della "contenzione fisica"

MENDRISIO – Pazienti legati al letto, con lacci che ne immobilizzano braccia e gambe. Non stiamo parlando di qualche strana pratica sadica, ma più semplicemente della “contenzione fisica”, termine che negli ambienti psichiatrici è ancora in voga. L’argomento torna agli onori della cronaca in seguito alla denuncia della sorella di un paziente ricoverato presso la Clinica Cantonale di Mendrisio - riportata sabato da La Regione Ticino - che, sconvolta dalle condizioni in cui versava il fratello, ha dapprima scritto al Dipartimento della sanità e della socialità, con una lettera indirizzata a Paolo Beltraminelli, per poi rivolgersi a Strasburgo, direttamente alla Corte europea per i diritti dell’uomo.

“Non è che ci sia una legge che prevede che un paziente venga legato al letto, né esiste una legge che proibisca di farlo, almeno per il momento – ci spiega la dott.ssa Raffaella Pozzi, medico aggiunto presso al Clinica di Mendrisio -. Noi siamo sempre posti di fronte a un dilemma molto serio quando si tratta di contenzione, perché in linea di massima si tratta della extrema ratio alla quale ricorrere in casi estremamente gravi”.

Cosa intende per casi “gravi”?
“Per gravità si intende un doppio ordine di possibili problemi. Da una parte c’è il paziente pericoloso per sé, quindi è a rischio di agiti autolesivi gravi o di suicidio. L’altra situazione si ha con la presenza di un’aggressività, minacciosità, di un pericolo per altre persone. È chiaro che anche in questo caso il ricorso alla contenzione è l’ultima pedina che si cerca di muovere”.

Arrivando a legare il paziente a letto con dei lacci?
“C’è anche questo genere di contenzione fisica, a letto. Il paziente è legato con delle cinture per evitare soprattutto l’aggressività agita verso terzi, laddove non è in grado di intendere in quel momento la gravità dei suoi possibili atti”.

Non trova che questi siano provvedimenti degradanti per la dignità di una persona?
“Sicuramente si tratta di una decisione che viene presa con una grande attenzione, usando tutto il discernimento possibile. L’unica cosa che posso dire è che quando si ricorre a quel tipo di contenzione è perché non è stato possibile fare altrimenti. Evidentemente perché le decisioni prese prima non sono state sufficienti a garantire la sicurezza, del paziente in prima istanza, e delle persone intorno a lui”.

La sorella di questo paziente riferisce pure di un divieto alle visite? Perché privare un uomo della possibilità di vedere i propri cari?
“Non esiste nessun articolo di regolamento interno alla nostra clinica che vieti le visite a un nostro paziente, sia che esso sia contenuto, sia che, a maggior ragione, non lo sia. Mi limito a dire che in rapporto ai pazienti contenuti, in generale, una cosa molto importante è limitare il più possibile gli stimoli che vengono dall’esterno, proprio per garantire una maggior tranquillità per il paziente, quindi anche per un recupero più veloce dell’equilibrio psichico”.

“Legato per ben 13 giorni, fino a un giorno prima della programmata partenza per la clinica Belmont di Ginevra. In una stanza sporca, con il pavimento nero…in condizioni indicibili, da vomito”. È ciò che denuncia la sorella del paziente in questione. Questo trova conferma e giustificazione?
“Non conosco il caso in questione e quindi non posso entrare nel merito, in ogni caso non sarebbe corretto farlo. Posso però assicurarle che quando un paziente è contenuto, noi, per regolamento, siamo tenuti a una valutazione continuativa, per venire incontro alle sue esigenze e richieste se compatibili con la sua sicurezza. E si cerca naturalmente di mantenere l’ambiente in cui il paziente si trova nelle migliori condizioni possibili”.

Ricordo però di un progetto sperimentale con un’equipe ad hoc, all’interno della vostra struttura, che sta cercando di trattare i pazienti senza l’uso della contenzione fisica. Esiste ancora?
“Abbiamo sempre a nostra disposizione questa equipe, nata proprio allo scopo di ridurre al minimo il numero delle contenzioni presso la clinica. Cosa che si è verificata perché, rispetto agli anni scorsi c’è stato un calo considerevole del numero di contenzioni. Arrivare a un obbiettivo ‘contenzione zero’ sarà possibile nel momento in cui la clinica potrà avvalersi di ulteriori supporti di tipo strutturale, tipo camere protette, e perché no, anche di un incremento del personale”.

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