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TICINOSoffre l'industria ticinese, "a rischio centinaia di posti di lavoro"

09.11.11 - 09:08
Le aziende svizzere stanno operando tagli e dolorose ristrutturazioni. Quale la situazione in Ticino? Intervista a Stefano Modenini, direttore dell'Aiti
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Soffre l'industria ticinese, "a rischio centinaia di posti di lavoro"
Le aziende svizzere stanno operando tagli e dolorose ristrutturazioni. Quale la situazione in Ticino? Intervista a Stefano Modenini, direttore dell'Aiti

LUGANO - I venti gelidi della crisi spirano sul Ticino. Lo stillicidio di annunci provenienti da aziende svizzere di tagli al personale si è fatto ormai quotidiano. Stefano Modenini non nasconde la sua preoccupazione per un comparto, quello industriale, che rappresenta il cardine dell’economia ticinese. “La Segreteria di Stato dell’Economia ieri ha indicato che l'anno prossimo la disoccupazione potrebbe aumentare di 40mila unità in Svizzera. Quasi 4000 persone al mese” ci dice Stefano Modenini, direttore dell’Aiti, l’associazione degli industriali ticinesi.

Direttore, in Svizzera queste ultime settimane sono state contraddistinte da annunci quotidiani di tagli di posti di lavoro. E' l'inizio di uno tsunami occupazionale?
"Preferirei non drammatizzare, tuttavia abbiamo indicazioni di aziende che in Ticino hanno già effettuato dei tagli o che prevedono di annunciarne prossimamente".

Si può quantificare il numero dei posti di lavoro che verranno tagliati nell’industria?
“E' ancora presto per dirlo. Basandosi sui dati a nostra disposizione si può parlare di qualche centinaio. La situazione è in evoluzione. Le aziende stanno pianificando budget e listini”.

Che aziende sono? Chi saranno i primi a partire?
"Le aziende più colpite sono quelle di media grandezza. In quelle più grandi, che hanno una piccola quota di interinali tra il 5 e il 10%, i primi a partire saranno proprio coloro che appartengono a questa categoria di lavoratori. Il periodo è difficile".

Cosa sta succedendo?
"Il livello monetario non è ancora soddisfacente. E all'orizzonte abbiamo le prime avvisaglie di una riduzione degli ordinativi. Finora si era riusciti a compensare la forza del franco con un buon andamento delle vendite. Vista la situazione economica internazionale, dall'anno prossimo rischiamo un arresto delle vendite e ciò non fa che peggiorare le cose.".

I licenziamenti sono inevitabili?
"Si cercherà di utilizzare lo strumento dell'orario ridotto, che potrebbe evitare qualche licenziamento. Lo ripeto: il problema è che il franco forte ci taglia le gambe".

Qual è la soglia di cambio auspicata?
"Avremmo bisogno di un cambio di almeno 1,35 franchi per euro. All'interno del settore vi sono poi differenziazioni. L'orologiero vende bene, la farmaceutica ha una "soglia di dolore" con un cambio 1,20-1,25. La metalmeccanica auspicherebbe, invece, un 1,40-1,45”.

Se dovesse protrarsi un cambio di riferimento a 1,20, quanto è alto il rischio di delocalizzazione in Ticino?
"Per una ditta la delocalizzazione presuppone delle decisioni strategiche non semplici. Delocalizzare costa e bisogna sapere dove e come. Non dimentichiamoci, però, che sono molte le aziende in Ticino che hanno sede in Svizzera e all'estero. E per loro è più facile decidere di spostare determinate attività in altri paesi. Il rischio di perdere capacità produttiva c'è".

Non può sorgere il sospetto che il franco svizzero sia soltanto una scusa per licenziare o che dietro a questa situazione si nasconda un problema più vasto nella capacità del tessuto produttivo ticinese di adattarsi alle situazioni di crisi?
“No, nella situazione odierna il problema principale è la velocità di fluttuazione dei cambi, mai stata in passato così repentina e forte. L'estate scorsa nel giro di poche settimane siamo passati da 1,20 alla parità. E le aziende non hanno avuto il tempo di adattarsi così velocemente. Negli anni Novanta, durante le due fasi di recessione, le aziende hanno proceduto a ristrutturazioni importanti. E' chiaro che l'azienda, in queste situazioni, è costretta a reinventarsi. E può darsi che non tutte siano state in grado di farlo. Vi sono poi aziende che fanno ottimi affari, hanno ordinativi, ma lavorano in perdita, per non perdere i clienti, che chiedono il 30% di sconto a causa del cambio".

A livello ticinese, è vero, si può far poco. Ma a livello federale?
"L'unica soluzione è il cambio. Finché l'euro non si rafforza, la situazione non migliora".

Tra l’altro Schneider-Ammann ha detto basta con gli aiuti...
"Fino adesso aiuti diretti e immediati non ne abbiamo visti. Sì, c'è il ricorso alla disoccupazione parziale. Ma tutto finisce qui. Ci sono aziende che nel resto della Svizzera avevano richiesto la riduzione temporanea degli oneri sociali. Una misura immediata, che avrebbe consentito di disporre di una certa liquidità. Nella nostra realtà vi sono aziende che chiedono di pagare le bollette dell'elettricità in euro. E ai comuni arrivano richieste di poter ricalcolare gli acconti di imposta calcolati sulla base della situazione finanziaria dell'anno prima. Segnali questi che fanno capire della serietà della situazione. Le aziende stanno facendo di tutto per risparmiare, anche se siamo consapevoli che non soltanto intervenendo sugli orari di lavoro e sui salari dei dipendenti  si possano risolvere i problemi, che si presentano molto complessi. Le aziende sono obbligate ad adottare misure immediate sui costi, perché se no vanno a gambe all’aria".  

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