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MENDRISIO"I pazienti? Vengono ancora legati al letto"

27.09.11 - 16:02
L'impegno di una équipe contro le cinture di forza e la testimonianza di un infermiere
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"I pazienti? Vengono ancora legati al letto"
L'impegno di una équipe contro le cinture di forza e la testimonianza di un infermiere

MENDRISIO - “I pazienti vengono ancora legati al letto, questo è un iter che andrebbe sicuramente modificato”. Quando si tratta l’argomento dell’assistenza sociopsichiatrica, spesso si dimentica di interpellare chi affronta il malato sul campo, con i suoi problemi e tutte le sue esigenze. Come S. infermiere ticinese che da oltre 10 anni lavora alla Clinica psichiatrica cantonale di Mendrisio (per motivi personali preferisce mantenere l’anonimato).

S. ci spiega subito i limiti di un mandato, quello assegnato alla clinica di Mendrisio, il cui scopo è “tutelare i diritti delle persone bisognose di assistenza”. “La clinica, per mandato, non può rifiutare un’ammissione. Con una soglia di tolleranza dall’esterno sempre più bassa la questione però diventa difficile da gestire”. Sempre più pazienti infatti, sono ricoverati in clinica senza soffrire di un disturbo psichiatrico: “Si tratta, piuttosto, di casi critici di natura sociale”.

Sono i ricoveri legati alle commissioni tutorie - Coloro che, per definizione “compromettono gravemente o con imminente probabilità la propria vita e salute o quella altrui (Art. 2/b della LASP)” vengono gestiti con un ricovero a scopo di assistenza. Il ricovero è spesso deciso dalle commissioni tutorie. “Sono ricoveri a scopo di assistenza con obbligo di cura – spiega S. - Grosso freno per noi perché attuare un progetto terapeutico per chi non ha problemi psichici non è propriamente di nostra competenza. È la commissione tutoria a dire: lo prendete e lo tenete fino a che decidiamo noi”.

Ragazzi difficili e carenza di strutture – Siamo di fronte a giovani che hanno disagi, con un vissuto problematico, che arrivano in clinica e sono obbligati a rimanerci. Fino a che non si trova una soluzione. “È chiaro – spiega il nostro interlocutore - che è più difficile lavorare con un paziente che è obbligato a restare in un posto che non è il suo. Pazienti che non hanno un disturbo mentale e che magari sarebbe più idoneo se venissero indirizzati a strutture apposite. Che però non ci sono”.

Carenze nella comunicazione – Secondo S. per un cambiamento significativo bisognerebbe partire ottimizzando la comunicazione tra i vari attori coinvolti: “In particolare andrebbe migliorato il rapporto e la comunicazione tra l’interno, la clinica, e l’estero, cioè tra tutti gli attori in causa di fronte a un disagio (scuola, commissioni, polizia etc.)”. Come accade ad esempio con la polizia, quando contesta la facilità con la quale i pazienti si allontanano, contesta le “porte aperte” della clinica, ma non ne capisce le ragioni. “Sono incomprensioni controproducenti per noi, che cerchiamo di fare il nostro lavoro, per il paziente, che non viene ascoltato, e per loro, frustrati e costretti ad affrontare continuamente lo stesso problema. Iniziare un lavoro “di rete” potrebbe essere l’impegno per il futuro”.

Farmaci e catene – “Non c’è un abuso di farmaci nella nostra clinica – ci tiene a sottolineare S. che però precisa -, semmai sarebbe il caso di aprire una parentesi sulla contenzione fisica, in parole povere le cinture a letto. È una misura ancora oggi in atto. Si usa in pazienti pericolosi, sia per sé stessi che per gli altri (la misura è anche contemplata nella Legge sull’assistenza socio psichiatrica, LASP - n.d.r.), soprattutto se agitati e aggressivi. Un metodo sicuramente retrò ma che diventa, a volte e purtroppo, una specie di automatismo: il paziente è agitato. io lo contengo”.

In tal senso il Consiglio di Stato, l’anno scorso ad ottobre, ha deciso di istituire un’ èquipe ad hoc che si occupa del miglioramento delle condizioni dei pazienti e della riduzione degli episodi di contenzione fisica: “Si va ad intervenire laddove c’è un paziente agitato, aggressivo – spiega S. -, mettendo in atto varie tecniche di comunicazione per cercare di evitare la contenzione.

I rischi del mestiere – “In 11 anni che lavoro in questa struttura mi hanno messo le mani addosso ‘solo’ tre volte. Il paziente psichiatrico non è sinonimo di persona pericolosa, o almeno, lo è quanto una persona ‘normale’. Tuttavia il tasso di aggressività all’interno di un reparto c’è. Come anche la paura. Ed è per questo motivo che la contenzione fisica non è stata abolita al 100%. Quello su cui bisogna lavorare è però su certi automatismi. Si dovrebbe agire per tappe e ricorrere alla contenzione solo se strettamente necessario”.

Un’èquipe che funziona – S. è entusiasta di quanto si sta facendo in tal proposito: “Da quando esiste l’équipe le contenzioni sono state ridotte circa del 40%.  Cosa che per noi significa tanto. Anche perché è molto più impegnativo seguire un paziente legato a un letto”.
 

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