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BERNAPsicopatologie: la Svizzera può migliorare la reintegrazione al lavoro

23.01.14 - 17:39
L'OCSE consiglia alla Confederazione di esigere maggior responsabilità da parte dei datori di lavoro
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Psicopatologie: la Svizzera può migliorare la reintegrazione al lavoro
L'OCSE consiglia alla Confederazione di esigere maggior responsabilità da parte dei datori di lavoro

BERNA - Le malattie psichiche non creano soltanto sofferenze ma anche alti costi per l'economia e difficoltà sul mercato del lavoro per le persone che ne sono affette. Secondo uno studio dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), in Svizzera è notevolmente elevato il tasso di queste persone che comunque sono attive professionalmente, ma ci sono diverse possibilità di miglioramento. L'OCSE consiglia fra l'altro alla Confederazione di esigere maggior responsabilità da parte dei datori di lavoro.

In un rapporto pubblicato oggi l'OCSE scrive che i costi dovuti a problemi di salute mentale (perdite di produttività, spese sociali e cure sanitarie) ammontano a circa il 3,2% del Prodotto interno lordo (PIL). Le persone con menomazioni psichiche sono presenti in modo consistente in tutti i sistemi di prestazioni sociali. Attualmente esse costituiscono quasi il 40% delle nuove rendite dell'assicurazione invalidità (AI).

Il sistema elvetico offre buone possibilità per affrontare la problematica riguardante difficoltà mentali e lavoro. Le recenti riforme dell'AI hanno avuto un "successo considerevole", afferma l'OCSE. Si è passati da un sistema passivo di amministrazione delle prestazioni ad un organismo dinamico di riadattamento professionale. Comunque, come mostrano le cifre dell'AI, non tutti i problemi sono risolti.

In particolare, occorrono sforzi ulteriori per integrare maggiormente le persone psichicamente labili nel mercato del lavoro e diminuire la loro dipendenza dalle prestazioni sociali, scrive l'OCSE. In concreto - sottolinea il rapporto - i datori di lavoro fanno troppo poco, se si confronta quanto avviene in Svizzera rispetto a molti altri paesi. I limitati incentivi finanziari non spronano certo gli imprenditori a fare di più, criticano gli autori della ricerca. Anche la pressione dell'Ispettorato del lavoro è minore che in altri paesi, e rimane uno strumento di prevenzione di poco effetto.

Gli autori dello studio consigliano quindi alla Svizzera di non controllare tanto le condizioni di lavoro, quanto piuttosto il tasso di assenze per malattia e la fluttuazione di personale. Se queste informazioni fossero accessibili ad un vasto pubblico, le aziende sarebbero stimolate a tutelare maggiormente la salute dei salariati.

Anche nell'assicurazione invalidità c'è potenziale di miglioramento. Ad esempio, le visite mediche cercano principalmente di stabilire se il paziente ha diritto di chiedere una prestazione invece di stabilirne le sue capacità lavorative. È quindi anche difficile pianificare misure di riadattamento professionale.

Un altro intoppo, secondo l'OCSE, è che per alcuni gruppi di persone non conviene aumentare il numero di ore di lavoro e rinunciare ad una parte di prestazioni complementari. In particolare, a chi ha un basso reddito e ai giovani conviene di più percepire una rendita AI che un salario.

Gli autori dello studio consigliano inoltre di abolire l'attuale sistema a quote fisse di rendite (al 25%, 50%, 75% e invalidità totale) e di sostituirlo con uno a percentuale variabile senza gradini. Anche il Consiglio federale era a favore, ma quanto previsto nella seconda parte della sesta revisione dell'AI è stato bocciato all'ultimo momento dal parlamento.

Il rapporto dell'OCSE critica poi aspramente la cosiddetta collaborazione interistituzionale (CII), con cui i diversi settori previdenziali (disoccupazione, invalidità, aiuti sociali) cercano di integrare il più velocemente nel mercato del lavoro chi usufruisce di una rendita: è un passo nella buona direzione, ma le CII danno magri risultati rispetto ai costi dell'operazione.

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