Giunto in Leventina a seguito del primo lockout della NHL, Kamensky ha fatto innamorare di sé un’intera tifoseria in sole dodici partite
AMBRÌ - Tredici gemme. Come il numero che portava sulla maglia. Tredici magie che in sole dodici partite hanno fatto innamorare di lui una tifoseria intera. Lo zar Valeri Kamensky - sbarcato sotto le volte della Valascia nell’inverno del 1994 a seguito del primo lockout della NHL - ha incantato tutti dall’alto della sua classe cristallina.
Kamensky nacque il 18 aprile 1966 a Voskresensk, una cittadina situata a un centinaio di chilometri da Mosca. Sotto la ferrea disciplina sovietica, Valeri si avvicina all’hockey. Gioca dapprima nel club del suo paese, il Khimik, per poi trasferirsi, a soli 19 anni, al prestigioso CSKA Mosca. La squadra dell’Armata Rossa. Nella capitale affianca gente del calibro di Sergei Makarov, Igor Larionov, Vyacheslav Fetisov e il duo che poi fece le fortune del Friborgo "Slava" Bykov e Andrei Khomutov. A seguito della caduta del Muro di Berlino, e con la conseguente disgregazione dell’Unione Sovietica, Kamensky, come molti altri russi, si lascia sedurre dalle sirene d’oltreoceano e nel 1991 firma per i Québec Nordiques. Ma la franchigia canadese non è stata l’unica squadra ad interessarsi all’ala del CSKA. E tra le altre pretendenti c’era pure l’Ambrì-Piotta.
Il lungo corteggiamento del direttore sportivo leventinese Sergio Gobbi si concretizzò durante una sera d’ottobre del 1994. Quando Kamensky diede la propria disponibilità per l’approdo in Leventina. In un Ambrì che già parlava russo sia in panchina, con Alexander Jakushev e Peter Malkov, che sul ghiaccio con Igor Fedulov e Dimitri Kvartalnov.
L’impatto del numero 13 in biancoblù fu incredibile. Le dodici partite con lui sul ghiaccio - tutte vinte - indimenticabili. Come le sue reti. Come quelle che ribaltarono dal 2-5 al 6-5 un derby praticamente già perso. O come quella, meravigliosa, segnata al Davos. Sotto una Curva Sud che ha vissuto col fiato sospeso la doppia finta del funambolo russo, il disco che passa sotto le gambe dell’attonito difensore grigionese Andy Egli e che poi si insacca all’incrocio dei pali. Pochi fotogrammi per indicare la grandezza del campione russo. Che dopo la parentesi leventinese entrerà definitivamente nell’Olimpo dell’hockey mondiale conquistando la Stanley con Colorado (1995/96) che gli permetterà di completare il prestigiosissimo Triple Gold Club.
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