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ATTUALITÀ SETTIMANALEIl Senato statunitense approva la riforma fiscale

04.12.17 - 14:29
EFG Asset Management
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Il Senato statunitense approva la riforma fiscale
EFG Asset Management

Il Dow Jones è stato uno dei migliori indici della settimana, superando per la prima volta la soglia dei 24.000 punti nella giornata di giovedì e registrando la miglior performance settimanale dell’anno. Anche l’S&P 500 ha messo a segno robusti guadagni, mentre il Nasdaq ha chiuso l’ottava in territorio leggermente negativo. Ciò si deve principalmente alla debolezza mostrata dai titoli tecnologici mercoledì, quando il listino ha ceduto l'1,3%. Il tracollo di giganti tech quali Facebook e Amazon è coinciso con la rotazione verso comparti che dovrebbero ottenere maggiori benefici dall'annunciata riduzione delle imposte societarie; le aziende tecnologiche sono soggette alla terza aliquota fiscale più bassa tra le large cap statunitensi. L’ondata di vendite ha investito anche i semiconduttori.

L’impostazione positiva della borsa era dovuta in larga parte all’ottimismo sulla riforma fiscale, con i finanziari a muoversi in funzione dei progressi compiuti in tal senso. Nella serata di giovedì, l'introduzione di un “trigger” (clausola di salvaguardia) fiscale ha obbligato il contingente dei Repubblicani al Senato a posticipare il voto sul disegno di legge, che è stato poi approvato sabato mattina. Arretramento dei listini venerdì alla notizia che l’ex consulente per la sicurezza nazionale Michael Flynn si è dichiarato colpevole di avere mentito all’FBI in merito alle indagini sull’ingerenza da parte della Russia nelle elezioni presidenziali statunitensi e ha accettato di collaborare con la squadra del procuratore speciale Robert Mueller.

Il PIL del terzo trimestre è stato rivisto al rialzo fino a un 3,3% annualizzato, un tasso che non si vedeva dal 2014. Tale sentiment positivo è stato confermato anche dal Beige Book della Federal Reserve e dall’audizione della Presidente della Fed Janet Yellen davanti al Congresso. A novembre l’indice manifatturiero ISM ha fatto lievemente peggio del previsto, scendendo a quota 58,2 punti, ma tale rilevazione conferma che le condizioni dell’industria manifatturiera stanno migliorando.

La maggior parte delle piazze europee hanno chiuso la settimana in calo. Tra le eccezioni si segnala la sovraperformance dell’indice ellenico ASE nonché lo SMI svizzero, il quale ha registrato un +0,2%. A novembre, la fiducia nell’area euro si è portata ai massimi degli ultimi 17 anni e la disoccupazione è scesa fino all’8,8%, il livello più basso dal gennaio del 2009, mentre l’inflazione dei prezzi al consumo è risultata dello 0,1% inferiore all’1,6% stimato dagli analisti. Flessione di quasi l'1% per il FTSE britannico, con la sterlina a rafforzarsi nei confronti del dollaro. Il Regno Unito si sarebbe detto disponibile a pagare oltre 50 miliardi di euro per saldare i conti del divorzio dalla UE: se confermata, tale svolta farebbe compiere al Paese un passo in avanti verso l’avvio dei negoziati per un futuro accordo commerciale.

Nuovo lancio missilistico della Corea del Nord, con Pyongyang a sostenere di poter colpire il territorio degli Stati Uniti, ma gli investitori non hanno dato grande peso a quest’ultimo sviluppo. La borsa cinese ha visto un avvio di settimana sottotono per via dei timori circa l’innalzamento degli oneri finanziari a causa del giro di vite di Pechino nei confronti del sistema bancario ombra, mentre l'indice Nikkei giapponese ha ricevuto una spinta dal rally del comparto finanziario nonché dal deprezzamento dello yen nel corso dell’ottava.

Giovedì, l’OPEC e altri grandi produttori petroliferi hanno concordato un’estensione di nove mesi dei tagli alla produzione di greggio, che resteranno in vigore fino alla fine del 2018. L’intesa è stata siglata anche dalla Russia, che ha così smentito i timori dei mercati, ma Mosca ha sottolineato l’importanza di fare chiarezza su un’eventuale exit strategy. Ciò non è tuttavia bastato a evitare una chiusura di settimana in negativo per le quotazioni del petrolio.

Le banche britanniche superano gli stress test della BoE - Martedì 28 novembre, dopo aver verificato come ogni anno lo stato di salute degli istituti di credito, la Bank of England ha annunciato che le banche britanniche sono in grado di fare fronte a una Brexit “disordinata” senza dover ridurre l’erogazione di finanziamenti o ricorrere ai soldi dei contribuenti. Per la prima volta da quando gli stress test sono iniziati nel 2014, nessun grande istituto creditizio del Regno Unito si vede obbligato a procedere a un aumento di capitale. Le banche meno patrimonializzate, Barclays e RBS, hanno già raccolto nuovi capitali nel corso del 2017. Si tratta di una notizia incoraggiante per il ministro delle finanze Philip Hammond, il quale la settimana precedente aveva annunciato di voler collocare sul mercato titoli RBS detenuti dallo Stato per 3 miliardi di sterline nel corso del prossimo esercizio fiscale.

Revisione del PIL statunitense, ai massimi degli ultimi tre anni - La revisione al rialzo del PIL statunitense del terzo trimestre ha portato il tasso di crescita annualizzato al 3,3%, un risultato che non si vedeva dal 2014 ma in un certo senso fuorviante, poiché quasi un quarto dell’espansione si deve alle scorte. Al netto di queste ultime, nel terzo trimestre l’economia è cresciuta del 2,5% su base annuale grazie agli investimenti societari, alle esportazioni e alle scorte del settore privato. Più moderata la dinamica dei consumi, che hanno segnato un +2,3%. Alla vigilia dei nuovi dati sul PIL, la Presidente della Federal Reserve Janet Yellen aveva detto che “l’espansione dell’economia è sempre più diffusa tra i diversi settori”. La revisione al rialzo ha dato una spinta sia al dollaro sia ai rendimenti sui Treasury.

I produttori di greggio estendono i tagli a tutto il 2018 - Giovedì 30 novembre, l’OPEC e alcuni grandi produttori petroliferi, con la Russia in testa, hanno concordato un’estensione dei tagli alla produzione di greggio fino alla fine del 2018. Un gruppo di Paesi che pompa circa il 60% del greggio mondiale si è impegnato a non rendere disponibili sul mercato circa 1,8 milioni di barili al giorno, vale a dire quasi il 2% della produzione globale. Le quotazioni petrolifere statunitensi hanno guadagnato oltre il 30% dal giugno scorso e, per la prima volta da due anni a questa parte, si avvicinano alla soglia dei 60 dollari al barile. I produttori hanno però avvisato che al vertice previsto per il prossimo giugno potrebbero valutare se tali provvedimenti siano ancora necessari: è dunque possibile che il tetto alla produzione venga rimosso anzitempo qualora i partecipanti all'accordo dovessero concludere che il rialzo delle quotazioni stia beneficiando le società di shale oil americane a scapito dei Paesi che stanno facendosi carico dei tagli.

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