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L'OSPITEAggiornamento dei docenti, l'OCST risponde

16.05.13 - 10:21
Gianluca D’Ettorre, Presidente Sindacato OCST-Docenti
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Aggiornamento dei docenti, l'OCST risponde
Gianluca D’Ettorre, Presidente Sindacato OCST-Docenti

1. La formazione continua quale parte integrante dell’attività ordinaria e costante dei docenti

 

Esprimere una valutazione serena e libera da diffidenze pregiudiziali sulle modifiche relative all’attuale legge sull’aggiornamento docenti non è certo impresa facile. La concomitanza con l’oggettivo peggioramento del sistema previdenziale dei funzionari di Stato e con l’ennesima trattenuta salariale fondata su preventivi poi puntualmente smentiti a consuntivo, non favorisce il consolidamento di rapporti di reciproca fiducia e credibilità. Se si considerano inoltre la leggerezza con cui il testo dell’iniziativa parlamentare Duca Widmer/Pagani da cui scaturisce il mandato di modificare la legge circoscrive la dimensione della formazione continua dei docenti alla semplice frequenza di corsi accreditati e la velleitaria pretesa di una esaustiva pianificazione delle occasioni formative articolata su più anni, il tutto scrupolosamente a debito del tempo libero dei docenti, allora sembra quasi inevitabile il passaggio dalla diffidenza iniziale alla indisponibilità.

 

Ribadendo l’importanza di un impegno costante nella formazione non si deve censurare l’incontestabile continuità che intercorre tra l’aggiornamento da una parte e l’ordinaria preparazione e revisione delle lezioni dall’altra. Non giova a nessuno separare artificialmente lo spazio investito quotidianamente dal docente nel reperimento di nuovi elementi e conoscenze da integrare nella preparazione dei corsi da quello delle esperienze destinate alla formazione. Lo sviluppo di lezioni già collaudate e la ricerca di varianti, la diversa accentuazione di alcune competenze in sostituzione di altre, la riflessione critica sul proprio operato in relazione al mutare del contesto, sono tutte tessere del medesimo mosaico della formazione continua dell’insegnante e della sua crescita professionale. D'altronde è la stessa Legge concernente l’aggiornamento dei docenti (1990) a precisare che “l’aggiornamento si realizza mediante iniziative personali, giornate di studio, corsi di varia durata, seminari, attività di ricerca o di produzione di materiali didattici e altre forme adeguate ai bisogni della scuola” (Titolo I, Art. 2, cpv. 2).

 

2. Il progressivo divario tra il ruolo originario del docente e le nuove priorità dei dirigenti scolastici

 

Nel corso dell’ultimo ventennio i direttori degli istituti comunali e cantonali, così come gli ispettori e gli esperti di materia, da partner autorevoli in grado di affiancare il docente nella sua pratica quotidiana e di sostenerne la crescita professionale sono diventati dei funzionari sempre più orientati verso una prospettiva manageriale di gestione del personale e dei rapporti con la società. Basti ricordare quei passi in cui la Legge della scuola (1990) precisa che il direttore degli istituti cantonali “svolge opera di vigilanza e di consulenza pedagogico-didattica nei confronti dei docenti e presenta al Dipartimento una relazione annuale” (Titolo II, Art. 29, cpv. 1c), competenza attribuita analogamente anche al direttore degli istituti comunali o consortili che “collabora con l’ispettore di circondario nella funzione di consulenza e di vigilanza pedagogico-didattica” (Art. 31, cpv. 1d). Oppure anche il Regolamento di applicazione della Legge della scuola (1992), laddove recita che il direttore cantonale “assicura contributi e verifiche all’attività dei docenti mediante assistenza a lezioni, colloqui ed esame della documentazione didattica e dei piani di lavoro annuali” (Titolo II, Cap. I, Art. 9, cpv. 3a). D’altra parte l’incidenza degli esperti sulla vita di sede appare affievolita se si pensa che il Regolamento della scuola media (1996) conferisce loro il compito di “esplicare la consulenza e la vigilanza disciplinare e metodologica sull’insegnamento” (Cap I, Art. 6, cpv. 2e) e di “promuovere incontri, facoltativi o obbligatori, con i docenti, assicurando loro lo scambio di informazioni, di esperienze e di materiali didattici” (Art. 7a) oltre a “compiere regolari visite durante le lezioni, seguite da un colloquio con i docenti interessati” (Art. 7b) ed a “incontrare le direzioni scolastiche per affrontare i problemi della propria materia negli istituti” (Art. 7c).

 

Mentre dunque si approfondiva il divario tra la politica di conduzione degli uffici scolastici da una parte e la formazione richiesta dal mandato originale dei docenti dall’altra, la maggior parte degli insegnanti non ha tuttavia rinunciato ad aggiornarsi, diversamente da quanto è stato talvolta sostenuto dagli stessi alti rappresentanti della Divisione scuola. Tutt’altro, quasi eroicamente molti insegnanti hanno cercato di aggiornarsi e ci sono riusciti in modo significativo e costante, a riprova del fatto che incontrare un interlocutore qualificato e competente è per un docente occasione di soddisfazione e di rigenerazione e non un giogo cui sottrarsi volentieri.

 

3. Peggiorare le condizioni generali di lavoro comporta inevitabilmente una riduzione delle risorse disponibili per la formazione continua

 

Perché allora questa valutazione negativa da cui nasce il fine di uniformare e di controllare più da vicino un certo tipo di aggiornamento? Perché da lacunosi rilevamenti statistici risulterebbe che alcuni docenti frequentano molti corsi mentre altri molto pochi o quasi nessuno. Siamo ora alla presenza dell’elemento più contraddittorio e paradossale della situazione. Molto spesso la partecipazione ai corsi di aggiornamento in tempo di lavoro, sebbene sia prevista dalla legge (eccezionalmente, previa autorizzazione, fino ad un massimo di dieci giorni ogni due anni), viene ostacolata in vario modo con disposizioni interne: ad esempio valutando come basso il grado di interesse del corso, con conseguente riduzione della copertura dei costi (indennità), oppure imponendo ai colleghi l’onere di supplire il docente in aggiornamento con l’effetto di indurre un processo di auto-contenimento, o ancora vietando la partecipazione ad una conferenza a tutti i docenti provenienti da sedi diverse da quella promotrice dell’incontro.

 

L’inevitabile conseguenza dell’applicazione di tali prassi dissuasorie interne ed ufficiose, è che i docenti intenzionati ad aggiornarsi devono farlo nel proprio tempo libero e sostanzialmente a proprie spese, evidentemente con vari gradi di realizzazione a seconda delle risorse e della determinazione personale. L’esito paradossale e spesso sottaciuto di tanto eccesso di zelo nel contenimento dei costi è che il credito predisposto per le indennità di aggiornamento non viene utilizzato se non in minima parte. Le cause del male paiono essere quantomeno due: la prima è la perdita di rilevanza del sapere scientifico-disciplinare e didattico all’interno della politica scolastica generale, per cui queste competenze vengono sempre meno riconosciute, tutelate e sviluppate, a vantaggio di altri ambiti. La seconda è la riduzione delle risorse economiche attribuite alla scuola, per cui gli esperti, gli ispettori, i direttori ed i docenti stessi sono così gravati dall’accumularsi di nuovi oneri lontani dal mandato ufficiale e originale, da stentare non solo ad aggiornarsi, ma persino a far fronte agli altri compiti ordinari quotidiani.

 

L’erosione del tempo di non lezione (si sottolinea che non esiste un limite massimo al numero di collegi docenti, di consigli di classe, di sedute dei gruppi di materia, di incontri con genitori, di colloqui con pedagogisti, psicologi, educatori,…) ed il progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro incidono dunque direttamente anche sull’attività di formazione continua. Forse i due fenomeni non sono legati solo dal nesso della contemporaneità, ma sono anche le due facce di una medesima medaglia, ovvero sono due manifestazioni di una trasformazione della politica culturale e scolastica del nostro Cantone che eleva gli aspetti socio-educativi al di sopra della dimensione conoscitiva disciplinare, ridefinendo de facto se non proprio de jure anche il profilo del docente.

 

4. Le modifiche della legge: ulteriore mezzo di pressione oppure occasione di consolidamento professionale e di riavvicinamento tra dirigenti scolastici e docenti?

 

Con le modifiche alla Legge è innegabile che, se da una parte il Dipartimento si assume la responsabilità di indicare delle priorità formative e di allestire delle attività aderenti a tali linee direttive, d’altra parte i docenti dovranno in generale dedicare maggiori risorse personali per una formazione più regolare e per documentare il proprio aggiornamento.

 

Chi si aggiorna oggi lo fa prevalentemente in tempo di vacanza e praticamente totalmente a proprie spese: accettando le modifiche di legge, non solo verrebbe confermata l’attuale libertà di scelta, ma essa sarebbe persino rafforzata con la sua concreta estensione al tempo di scuola (data dalla differenza tra i corsi obbligatori imposti dal Dipartimento e la quota da raggiungere) e con la relativa copertura integrale delle spese a carico del datore di lavoro. In contropartita il Dipartimento chiede: il monitoraggio delle attività di aggiornamento svolte (già legalmente fondato e variamente applicato, sebbene caduto in parziale desuetudine), verosimilmente tramite un colloquio (anch’esso già previsto dalla legge e dal regolamento ma non attuato se non episodicamente) e la definizione di un quantitativo minimo di aggiornamento certificato (documentabile in un dossier) da conseguire in un quadriennio (che diventerebbe un obbligo e contemporaneamente un diritto acquisito).

 

Evidentemente l’adozione di un parametro quantitativo non deve in alcun modo ridurre la valutazione dell’aggiornamento ad una dimensione monocriteriale che disconosca il primato dell’aspetto qualitativo.

Si segnala che la nuova versione della legge potrebbe permettere agli insegnanti, ad esempio in virtù del coinvolgimento delle associazioni dei docenti in fase di elaborazione dei piani quadriennali (Art. 3, cpv. 3), di incidere maggiormente sulla politica scolastica futura e di tutelare un’autonomia di scelta responsabile del proprio percorso di aggiornamento. Pur riconoscendo al DECS il merito di aver previsto alcune deroghe normative relative alle indennità (Titolo II, Art. 10, cpv. 9) ed alle supplenze (Art. 12, cpv. 2) per agevolare con coerenza il rispetto del nuovo obbligo, cui si aggiunge la maggiore fruibilità del congedo di aggiornamento (Titolo III, Art. 14, cpv. 3), alcune questioni centrali permangono irrisolte.

 

5. Richieste e proposte del Sindacato OCST-Docenti

 

Restano infatti indefinite sia l’effettiva quantificazione dell’onere di formazione quadriennale da attuare (per ora solo ipoteticamente stabilito ad otto giorni) sia la definizione delle effettive modalità di monitoraggio, in quanto demandate entrambe al Regolamento di applicazione. Pertanto il Sindacato OCST-Docenti potrà sostenere le proposte di modifica della legge solo se saranno soddisfatte le quattro istanze indicate puntualmente nel seguito del documento.

 

1. Si considera indispensabile il coinvolgimento delle Associazioni magistrali e sindacali nella fase di elaborazione del Regolamento di applicazione della Legge concernente l’aggiornamento così come in ogni eventuale revisione e consultazione successiva nell’elaborazione dei piani quadriennali.

 

2. Come già indicato durante le sedute del Gruppo, si sottolinea la necessità di ridurre ai minimi termini gli oneri burocratico-amministrativi derivanti dalla notifica dei propri impegni formativi al datore di lavoro (principio di monitoraggio). Si chiede quindi di poter disporre di: accessi immediati alla pubblicazione delle attività formative, procedure rapide di iscrizione a tali corsi, una pronta autorizzazione da parte degli uffici competenti (previa verifica di pertinenza) e semplici protocolli di resoconto (il tutto adeguatamente informatizzato). Un sistema farraginoso anziché agile potrebbe compromettere la validità complessiva dell’impianto giuridico-normativo.

 

3. A causa della maggiore rilevanza attribuita al rapporto (dato in primis da monitoraggio e colloqui) tra insegnante e interlocutore istituzionale diretto (esperto, ispettore o direttore), si chiede che esso verta esclusivamente sulle competenze specifiche implicate dallo statuto del docente e sia finalizzato allo sviluppo di tale profilo professionale.

 

4. Conseguentemente si ritiene indispensabile riequilibrare la nuova preminenza accordata all’aggiornamento nella sua forma certificata predisponendo un corrispondente maggiore riconoscimento dell’aggiornamento spontaneo (tramite la concessione di crediti, di monte ore2 e la relativa certificazione dell’attività svolta) promosso da gruppi di docenti di una o di più sedi (intesi non solo quali fruitori di attività organizzate da altri, ma come ideatori). Parallelamente si chiede l’effettiva applicazione di quanto contemplato nei Regolamenti laddove gli esperti e gli ispettori sono identificati quali interlocutori privilegiati nella pratica dell’insegnamento. Nell’ottica dell’aggiornamento l’incontro tra colleghi teso a sviluppare percorsi e materiali didattici, lo scambio di informazioni, di esperienze e di competenze, il confronto regolare con esperti disciplinari e di didattica (ispettori) costituiscono aspetti non meno qualificanti della partecipazione ad un corso accademico istituzionale (come peraltro indicato nella già citata Legge concernente l’aggiornamento, Titolo I, Art. 2, cpv. 2). A maggior ragione se si considera il crescente valore accordato oggi internazionalmente allo scambio delle “buone pratiche” professionali ed alla validazione delle conoscenze esperienziali.

 

La condizione indispensabile per una scuola di qualità è la presenza di docenti qualificati, motivati e valorizzati, consapevoli dei propri doveri e delle proprie responsabilità. Solo se un docente è apprezzato all’interno di un rapporto di fiducia potrà davvero esprimersi al meglio delle proprie capacità e vorrà migliorarsi. In conclusione la legge pare essere un potenziale miglioramento, che tuttavia non risolve il male per cui è stata impugnata. Occorre infatti risolvere ancora il cuore della questione, ovvero definire il mandato essenziale del docente e della scuola, delineare la politica scolastica e culturale ticinese e, parallelamente, allocare le risorse adeguate a tutti gli organi della scuola, perché ciascuno di essi possa, nella propria specificità, adempiere nel migliore dei modi al proprio compito. Solo ristabilendo l’indispensabile equilibrio e coerenza tra formazione iniziale del docente, mandato professionale e condizioni lavorative, le varie forme di disagio della scuola potranno essere riassorbite e superate: questo è il punto di partenza di ogni forma di gestione del personale e di prevenzione.

 

Se dunque si intende davvero fare un servizio alla qualità della scuola, la strada da percorrere non è quella di sovrapporre obblighi ad altri obblighi, bensì quella di scommettere sui docenti, stimandoli ed investendo su di loro, permettendo loro di tornare protagonisti del proprio lavoro, di cooperare su progetti concreti, nati da esigenze reali ed attuali: solo così si potranno liberare e valorizzare le numerose risorse della scuola finora troppo spesso sottovalutate e frustrate.

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