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L'OSPITEChi saremo? Cosa ci rappresenta?

15.12.17 - 18:00
Matteo Quadranti, Gran Consigliere
Tipress
Chi saremo? Cosa ci rappresenta?
Matteo Quadranti, Gran Consigliere

Le metafore ci aiutano a riflettere su noi stessi e sulle cose. Per definire la modernità c’è chi ha usato la metafora della società liquida, dello sciame inquieto dei consumatori. Altre metafore descrivono la società di questo XXI secolo: lo schermo (identifica il guardarsi), l’Alzheimer (lo svuotarsi), lo zombie (il trasformarsi). Nell’epoca dei selfie lo schermo coincide con lo specchio ed è la più protettiva estensione del sé. Lo schermo appunto scherma e protegge dall’ingerenza degli altri umani diventati, se non nemici, almeno potenzialmente distruttivi delle nostre sicurezze.

Il malato di Alzheimer è come un computer sopravvissuto alla perdita della sua memoria, povero contenitore privo di funzione e di senso. Questo svuotamento si verifica oggi a prescindere dalla massa esorbitante di informazioni in entrata perché la memoria viene delegata a strumenti elettronici e l’uomo “aumentato” che crediamo di diventare in realtà perde capacità che non saranno più espresse. Qualunque invenzione o tecnologia è una estensione o una amputazione dei nostri corpi fisici. Le cose poi durano poco e il nostro rapporto col tempo viene alterato o sprecato. Le notizie di ogni giorno hanno lo scopo di farci dimenticare quelle del giorno prima, passiamo tempo a svuotare la posta indesiderata e poi non troviamo il tempo di scrivere noi stessi dei messaggi provvisti di significato. Lo zombie è ciò che resta di noi in un mondo in cui il corpo viene costantemente allenato, mantenuto magro e giovane attraverso diete e chirurgia estetica mentre la mente rimane l’unica manifestazione umana ancora investita di valore. Zombie perché siamo corpi che camminano, consumano consumando sé stessi.

Quando la mente viene presa dall’Alzheimer ecco che siamo morti viventi. Sia come sia, le tre metafore permettono di rappresentare in modo accessibile ciò che siamo inclini a pensare e fare di noi stessi. Il nostro pensiero e il nostro agire sono autoreferenziali, egoriferiti. Oggi l’uomo non è più tanto produttore quanto piuttosto consumatore, narciso concentrato su sé stesso. Consumare deriva dal latino “consumere” che significa “esaurire, logorare, distruggere” mentre “producere” significa “portare alla luce, mettere al mondo”. Quindi consumare significa svuotare, distruggere mentre produrre significa aggiungere, creare. Già nel 1955 Victor Lebow scriveva: “la nostra economia incredibilmente produttiva ci chiede di fare del consumo il nostro stile di vita, di cercare nel consumo la nostra realizzazione spirituale e personale, del nostro status sociale”.

La nostra economia dipende interamente dall’inarrestabile macchina di consumo e se questa si inceppasse ci ritroveremmo in un vicolo cieco. Narciso si invaghisce della propria immagine riflessa nello specchio d’acqua corrente di un fiume, massima espressione dell’instabilità. L’apparenza è ciò che conta. Il selfie è l’obiettivo fotografico che chiude noi stessi dentro una parentesi e non più un obiettivo aperto sul mondo. Una società che teme di non avere un futuro non può essere molto attenta ai bisogni delle nuove generazioni ragion per cui non si preoccupa di conservare ad esempio l’Ambiente. La perdita di fiducia nel futuro è quindi la prospettiva del Narciso rassegnato. Una volta c’erano fitte reti di legami comunitari o familiari che oggi risultano fragili, lacerati dalla competizione spietata, quella dove il successo non significa solo andare avanti, ma passare davanti agli altri. Forse dobbiamo ripartire dalle comunità e dalla cooperazione.

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