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L'OSPITELottoMarzo tra rassegnazione e nuove speranze

08.03.17 - 09:28
Nadia Pittà Buetti, I Verdi
LottoMarzo tra rassegnazione e nuove speranze
Nadia Pittà Buetti, I Verdi

Un movimento femminista nasce dal basso con l’ambizione di includere il 99% delle donne e lasciarsi alle spalle il femminismo della donna in carriera; sono molte e provengono da numerosi Paesi le donne unite nello sciopero e nella protesta questo otto marzo che credono fermamente in un nuovo femminismo internazionale.

Il processo di emancipazione in affanno - Leggendo quanto pubblicato in queste settimane sul tema della giornata internazionale dedicata alle donne, una riflessione di carattere generale è d’obbligo. Se da un lato, a favore dell’emancipazione femminile, in questi ultimi anni è stato detto, scritto e rivendicato tanto in termini di disparità, violenze e oppressioni subite dalle donne, dall’altro lato vi è la crescente consapevolezza che nonostante i notevoli sforzi, l’emancipazione della donna ottenuta tramite faticose lotte femministe nel corso dell’ultimo secolo, sia in una situazione di stallo o peggio ancora stia arrancando facendo scivolare nuovamente la donna in una posizione di sottomissione al potere e volere dell’uomo e del (suo) modello di società.
Il percorso per ottenere le “pari opportunità” e il giusto riconoscimento della donna è ancora lungo. Lo ricorda bene il giornalista della WOZ (Die Wochenzeitung) Markus Spörndli (inteso: ho scelto specificatamente degli autori uomini “coinvolti”): nel suo articolo spiega che proprio in questi anni si è vista la necessità di lottare per vedersi riconfermare dei diritti acquisiti (es. il diritto all’aborto) o in certi casi i diritti delle donne sono purtroppo venuti meno (riferendosi a Polonia, Ungheria e Turchia). Spörndli è convinto che solo un movimento forte e unito potrà aiutare a superare le disparità tra i generi e per questo sarà indispensabile poter contare sulla partecipazione di giovani e di uomini adulti disposti ad accettare nuovi equilibri e un nuovo ruolo della figura maschile. A questo proposito ricorda inoltre che secondo l’Organizzazione per le donne delle Nazioni Unite, di questo passo, per ottenere globalmente la parità politica si dovranno attendere ancora 50 anni, mentre per ottenere la parità in ambito economico sono ben 170 gli anni che bisognerà attendere.

La lotta e le speranze di un nuovo femminismo internazionale - Unico, ma importante se non fondamentale elemento che quest’anno emerge dalle “solite” rivendicazioni politico-sindacali è la voce della rete “Non Una di Meno” e della “Marcia mondiale” che il 21 gennaio di quest’anno è stata capace di mobilitare 2,5 milioni di persone che in tutto il mondo hanno manifestato in piazza contro l’amministrazione Trump. I movimenti che si sono mobilitati contro le politiche di Trump rappresentano oggi un potenziale interessante per quello che potrà essere un nuovo movimento internazionale e la sua declinazione in un nuovo femminismo. Interessante a questo proposito l’articolo di Daniel Binswanger del settimanale Das Magazin che riflette proprio sulla capacità di far sì che i movimenti di opposizione a Trump riescano a trasformarsi e divenire movimenti volti all’ottenimento di maggiore equità sociale.
Per capire quali sono gli intenti di questo nuovo movimento (o insieme di movimenti) è utile rifarsi a quanto loro stessi scrivono in proposito - questo un estratto dell’articolo:

“Nell’abbracciare un femminismo del 99%, prendiamo ispirazione dalla coalizione Argentina Ni Una Menos. La violenza sulle donne, come loro la definiscono, ha molte facce: è violenza domestica ma anche violenza del mercato, del debito, dei rapporti di proprietà capitalistici, e dello stato; la violenza delle politiche discriminatorie contro donne lesbiche, trans e queer, la violenza dello Stato nella criminalizzazione dei movimenti migratori, la violenza delle incarcerazioni di massa e la violenza istituzionale contro i corpi delle donne attraverso la criminalizzazione dell’aborto e l’assenza di accesso a sanità e aborto gratuiti. La loro prospettiva ispira la nostra determinazione a opporci agli attacchi istituzionali, politici, culturali e economici contro le donne musulmane e migranti, contro le donne di colore e le donne lavoratrici e disoccupate, contro le donne lesbiche, trans e queer.
Come primo passo, proponiamo di sostenere la costruzione di uno sciopero internazionale contro la violenza maschile e in difesa dei diritti di riproduzione l’8 Marzo. Per questo, vogliamo unirci ai gruppi femministi che hanno convocato questo sciopero da circa 30 paesi in tutto il mondo. L’idea è di mobilitare donne, donne transgender e tutti coloro che le sostengono in un giorno di lotta internazionale – un giorno di sciopero, di manifestazioni, di blocchi di strade, ponti e piazze, di astensione dal lavoro domestico, di cura e sessuale, di boicottaggio, di proteste contro aziende e politici misogini, di scioperi nelle istituzioni educative. Queste azioni hanno lo scopo di rendere visibili i bisogni e le aspirazioni di coloro che sono state ignorate dal femminismo della donna in carriera: le lavoratrici nel mercato del lavoro formale, le donne che lavorano nella sfera della riproduzione sociale e della cura, le donne disoccupate e le donne precarie.”

Questa dichiarazione di intenti ha trovato una propria applicazione in ogni nazione in cui queste organizzazioni oggi si apprestano a scioperare. Per noi è ad esempio indicativo il manifesto di otto punti promosso nella vicina Italia, è significativo il percorso indicato dalla nuova rete Non Una di Meno per l’affermazione di una piena autodeterminazione della donna trasposta in vari ambiti. Questa metamorfosi lascia sperare anche le donne del nostro Paese, che necessitano di ritrovare una bussola per proseguire quanto di importante è stato fatto dalle donne in Svizzera e viene fatto in vari contesti politico-sociali.

La sfida dell’inclusione - Oggi non è dato a sapere se questa ondata di manifestazioni e opposizioni “femminili” nate dal basso riusciranno col tempo a contrastare le violenze perpetrate in diversi ambiti e in diversi modi sulle donne, nelle numerose società e comunità a livello internazionale. Se il denominatore comune dell’oppressione della donna sarà in grado di unire in modo tale da sapersi opporre alle discriminazioni vissute dai singoli movimenti e rappresentare così un nuovo femminismo capace di opporsi ad attacchi istituzionali, politici, culturali ed economici contro tutte le donne, allora tutto è possibile. E se questo movimento saprà coinvolgere oltretutto l’uomo rendendolo partecipe al cambiamento, si spera che i tempi per ottenere un qualche risultato non saranno quelli prospettati.
Nel nostro Paese, lo sciopero nazionale delle donne avvenuto il 14.6.1991 portò in piazza più di mezzo milione di persone – fu un successo e ancora oggi è considerato un importante momento storico per quello che è stato il percorso di emancipazione della donna in Svizzera. Che lo sciopero internazionale promosso da movimenti e organizzazioni presenti in più di 40 nazioni siano qualcosa di importante, significativo e straordinario è a mio modo di vedere fuori discussione.

C’è da sperare che in Svizzera l’alleanza di partiti, sindacati e varie ong riunitisi per questo otto marzo con il motto “we can’t keep quiet” trovi il modo di allargarsi maggiormente per essere in grado di riuscire a rappresentare quel 99% delle donne “non necessariamente in carriera” – dovrà saper proporre ben più di quello che è stata in grado di fare questo 8 marzo rispetto allo sciopero internazionale.
Personalmente spero che il successo internazionale di questo otto marzo sappia porre delle basi solide per riuscire in futuro a dar vita e consolidare un movimento internazionale a sostegno delle donne. Un movimento unito seppur internazionale, dalle proprie caratteristiche organizzative specifiche, ma capace di innescare dinamiche pronte al conflitto/al confronto, in termini costruttivi, così da poter dar vita a forme nuove di società. Dovrà per forza essere un movimento capace di aprirsi all’inclusione, che ogni volta si mette in gioco per riuscire a trovare un nuovo equilibrio, ma che - forte della consapevolezza che perpetrare nell’autoreferenzialità non può che nuocere in primis proprio alle donne, in particolare al 99% delle donne -non mancherà di cogliere la sfida ogni volta che si porrà, in modo aperto e leale.

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