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L'OSPITE“Salviamo il lavoro in Ticino”, il sostegno dell’OCST

28.05.15 - 10:59
OCST
Foto Archivio Ti-Press
“Salviamo il lavoro in Ticino”, il sostegno dell’OCST
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Il prossimo 14 giugno sarà posta in votazione l’iniziativa popolare cantonale “Salviamo il lavoro in Ticino”. I cittadini e le cittadine dovranno dire se intendono accordare al Consiglio di Stato la facoltà di decretare salari minimi vincolanti nei rami non provvisti di un contratto collettivo di lavoro.

Un tema di attualità - Il tema salariale ed in particolare dei salari minimi è di stretta attualità e rilevanza. I livelli retributivi ticinesi, già in endemico ritardo rispetto alle medie nazionali, subiscono da un decennio pesanti pressioni riconducibili alla libera circolazione e soprattutto a chi ne fa un uso speculativo. Questa situazione è del resto dilatata ulteriormente dal recente apprezzamento del franco, che induce le imprese a comprimere i costi produttivi ed in particolare il costo del lavoro.

I salari minimi costituiscono perciò un tassello prezioso di una politica di sostegno ai redditi delle economie domestiche. I suoi riverberi sono del resto favorevoli non solo per i salariati (in termini di potere d’acquisto e di tenore di vita) ma per l’intera economia (attraverso le ricadute sulla domanda interna) e per la collettività (andando a ridurre le prestazioni sociali a carattere compensativo).

Via legale e via contrattuale - Per l’OCST, la via maestra per fissare i livelli salariali rimane quella della contrattazione tra le parti sociali. La via contrattuale, frutto del negoziato tra padronato e sindacati, consente di dare forma a soluzioni rispondenti alle specificità di ogni singola realtà aziendale o di categoria. Il contratto collettivo, oltre a regolare anche le altre condizioni lavorative, è inoltre un perno di dialogo e di collaborazione che consente alle parti sociali di farsi carico dello sviluppo complessivo della categoria professionale.

Nel contesto odierno, segnato da acute distorsioni, anche la via legale acquisisce tuttavia una sua legittimità e utilità. Può contribuire a porre un argine alle pressioni e agli abusi salariali nei rami non coperti da un contratto collettivo. Via contrattuale e via legale possono cioè porsi in una relazione di opportuna complementarietà, nel cui ambito lo Stato assume un ruolo sussidiario rispetto alle parti sociali.

La via legale è purtroppo avvalorata dal colpevole lassismo del padronato che ha assistito troppo passivamente alla contrazione del paesaggio contrattuale. Le forze sociali controllano oggi solo la metà circa del territorio del lavoro. Numerose sollecitazioni sindacali a regolare contrattualmente i rami scoperti e in particolare il settore terziario si sono ripetutamente infrante contro l’indifferenza e persino la resistenza di corpi padronali refrattari.

“Salviamo il lavoro in Ticino” - L’iniziativa popolare sulla quale si voterà a metà giugno è in prevalente sintonia con le costatazioni appena messe in risalto e con questa linea di politica salariale. Ha in particolare un pregio duplice. Pone in primo luogo al centro del dibattito il tema salariale, evidenziandone l’importanza per l’intera collettività e sottolineando la responsabilità che, al riguardo, ricade sulle forze sociali e politiche.

È in secondo luogo sintonizzata su una concezione che attribuisce alla via legale un carattere sussidiario rispetto alla contrattazione collettiva. Riconosce infatti al governo cantonale la competenza di intervenire solo laddove non siano in vigore salari minimi fissati da un contratto collettivo di lavoro.

Rispetto al quadro legale vigente, che prevede la possibilità di decretare contratti normali con salari vincolanti quale misura di accompagnamento alla libera circolazione, avrebbe poi il vantaggio di consentire un intervento anche a titolo preventivo e soprattutto duraturo. L’odierna facoltà di introdurre contratti normali presuppone al contrario un comprovato rilevamento di abusi ed è concepito come uno strumento transitorio.

A metà del guado - Sull’iniziativa aleggia tuttavia un interrogativo irrisolto che, in caso di votazione favorevole, necessiterà una fase di ulteriori approfondimenti e verifiche. Riguarda i limiti finora imposti dalla giurisprudenza al margine di manovra dei Cantoni. La giurisprudenza riconosce infatti unicamente la facoltà di decretare salari minimi secondo criteri di politica sociale. Dovrebbero di conseguenza situarsi ad un livello relativamente basso, nell’area del reddito minimo garantito dal sistema delle assicurazioni sociali e dell’assistenza sociale. In caso contrario si invaderebbe il campo della politica economica.

Questo nodo si prospetta intricato e potrebbe anche indurre a modificare - attenuandone la portata - l’obiettivo perseguito dall’iniziativa. Anche in questa eventualità, le riflessioni e i confronti che animerebbero il dopo-votazione offrirebbero comunque l’occasione di verificare e di fare auspicabili passi innanzi perlomeno nei campi seguenti:

1. diffusione dei contratti collettivi di lavoro

La carente copertura contrattuale dei rami professionali è fonte di distorsioni tanto più preoccupanti nel nostro Cantone, che si trova esposto in modo ampio alle ricadute della libera circolazione. Se definire i salari minimi attraverso i contratti collettivi è compito primario delle parti sociali, lo Stato deve da parte sua vegliare sull’effettiva assunzione di questa responsabilità da parte del padronato poiché ne derivano riverberi favorevoli sulla stabilità e coesione sociale. Può perciò essere l’occasione per accentuare il ruolo dello Stato:

nel contribuire a preservare la cultura del dialogo sociale soprattutto a fronte delle numerose ditte provenienti dall’estero che importano sovente una ben diversa concezione delle relazioni tra imprese e sindacati;

assegnando al DFE il compito di istituire un nucleo che si occupi della promozione delle relazioni tra le parti sociali allo scopo di rafforzarne la collaborazione e di favorire l’adozione di contratti collettivi di lavoro. L’andamento della collaborazione tra le parti sociali potrebbe essere oggetto di una conferenza e di un rapporto annuale all’intenzione del Consiglio di Stato;

condizionando la concessione di sussidi o contributi pubblici, laddove esistano contratti collettivi, ad enti o aziende che ne siano firmatari;

nei rami dove si è resa necessaria l’introduzione di un contratto normale con salari obbligatori, sollecitando la Commissione tripartita a contribuire, durante la validità del contratto, alla discussione e sottoscrizione di un contratto collettivo chiamando a raccolta le rispettive imprese ed associazioni padronali.

2. natura dei contratti normali

Qualora l’iniziativa debba essere incanalata diversamente allo scopo di rispettare la giurisprudenza, merita comunque di essere verificato se possa intrecciarsi con le attuali norme sui contratti normali in modo da consentire che questa misura assuma un carattere preventivo (possa essere introdotta anche senza avere preventivamente rilevato la presenza di abusi diffusi) e durevole.

3. regolazione dei salari

Nell’ambito di questa fase di approfondimenti andrebbe anche data forma ad un quadro complessivo di regolazione dei salari che componga in modo coordinato il ruolo dei differenti protagonisti (parti sociali, autorità del mercato del lavoro, Commissione tripartita, Consiglio di Stato).

Un primo passo - Pur non ignorando né sottovalutando i punti tuttora aperti, l’OCST invita a sostenere l’iniziativa in votazione il 14 giugno nella consapevolezza:

- che la sua impostazione (sussidiarietà del ruolo del Consiglio di Stato) apre interessanti spazi di valorizzazione della contrattazione collettiva, percepita come un vantaggio per la collettività intera (e non solo per le parti sociali);

- che i successivi approfondimenti possono contribuire ad avanzare nell’elaborazione di una politica dei salari e dei redditi meno esposta alle pressioni e alle distorsioni odierne.

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