Tratto dal libro omonimo "La paranza dei bambini" mette in scena (comunque bene) una storia già sentita giocandosela troppo sul sicuro
MASSAGNO - Nicola ha 15 anni, è figlio di una mamma single che gestisce una tintoria ed è quasi più quello che paga in pizzo di quello che guadagna. Le sue giornate scorrono in compagnia degli amichetti di quartiere, sottoproletari come lui, fra bravate e giri per i negozi dove tutto quello che c'è in vetrina è sempre e comunque al di là della loro portata.
Allora nasce l'idea: perché non fare una rapina? E, da quel momento in poi, il gruppo di amici diventerà una vera e propria gang che, con ogni mezzo, tenteranno di farsi strada fino ai vertici della malavita del quartiere. Una guerra in sella agli “scooteroni”, la loro, di affermazione contro un (anti) sistema, quello camorristico, in mano a vecchi poteri percepiti ormai come decrepiti.
Recentemente premiato alla Berlinale, “La paranza dei bambini” scritto da Roberto Saviano e diretto da Mauro Giovannesi è un film girato con tutti i crismi ma che allo spettatore finisce per arrivare un po' stanco. Ed è un difetto doppio se si considera che il materiale di partenza, anche dal punto di vista cronachistico, sarebbe di quelli davvero forti.
E la colpa non è affatto del cast – praticamente tutto di non professionisti, in cui svetta Francesco Di Napoli (Nicola) – e che ha spesso e volentieri la scintilla negli occhi, ma della scrittura e della messa in scena che non si prendono nessun azzardo stilistico e narrativo.
A giocare un po' contro alla pellicola da una parte è forse lo stesso fenomeno “Gomorra” che nelle sue tre stagioni (soprattutto l'ultima) ha già sviscerato le babygang malavitose del centro storico partenopeo utilizzando come carburante i fatti di cronaca più recente. Un brutto film, quindi? Assolutamente no, ma se cercate emozioni forti forse è meglio rivolgersi altrove.