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CANTONEViaggio nello spaziotempo dei Bumblebees

02.06.17 - 06:01
Pubblicato il 10 aprile scorso “Pollination”, il primo ep, autoprodotto (con il sostegno di Infogiovani), dei ticinesi Bumblebees
Foto Maxime Genoud
Da sinistra Francesco Fabris, Valentin Kopp, Nicolò Tamà, Emanuel Kopp, Andrea Piffaretti.
Da sinistra Francesco Fabris, Valentin Kopp, Nicolò Tamà, Emanuel Kopp, Andrea Piffaretti.
Viaggio nello spaziotempo dei Bumblebees
Pubblicato il 10 aprile scorso “Pollination”, il primo ep, autoprodotto (con il sostegno di Infogiovani), dei ticinesi Bumblebees

LUGANO - Di base sull’asse Lugano-Zurigo-Losanna, il gruppo è venuto alla luce sul finire del 2015, nel momento in cui Francesco Fabris (voce, tastiere), Nicolò Tamà (chitarra), Andrea Piffaretti (basso) e i fratelli Emanuel (chitarra) e Valentin Kopp (batteria) hanno scelto di unire le forze in un unico progetto, ritagliando e ricucendo suoni, sonorità, attraverso cui, da anni - nonostante la giovane età -, si nutrono. La matrice, la struttura, di pura “tradizione” psichedelica alimenta le cinque tracce raccolte in questa prima - e ammaliante - (auto)produzione… Ne abbiamo parlato con Valentin...

Valentin, innanzitutto, perché Bumblebees (Bombi, ndr)?

«Ne abbiamo discusso a lungo... Non volevamo qualcosa di troppo serio, perché un po’ di autoironia sta alla base del nostro modo di essere. Il bombo è un bellissimo insetto, simpatico e giocherellone, così come, nel contempo, importantissimo per l’impollinazione...».

Una diretta conseguenza, quindi, “Pollination”, il titolo dell’ep...

«Direi di sì… Quando abbiamo dato il via a questo progetto, durante una cena, è nato il nostro motto: “We just want to pollinate the world with our music”».

L’ep si apre con due tracce legate al tempo: “Times Still Change” e “Time Machine”. Vuoi entrare nel dettaglio dei testi?

«“Times Still Change” racconta dei tempi frenetici e confusi che la nostra generazione ha vissuto e sta vivendo, in particolare a partire dal 2001, anche se allora non potevamo capire. È un invito a non arrendersi, prima o poi la notte finirà, e in qualche modo ce la faremo... In “Time Machine” il protagonista, invece, cerca di mettersi in contatto metaforicamente con qualcuno che non c’è più, che può essere anche lui stesso in passato, e si chiede se la macchina del tempo li riporterà insieme o meno. La combinazione di sensi incompatibili («See my words, see my wishes») rappresenta la discussione sospesa nell’etere dell’incertezza, mentre la fine, con i desideri che non si avvereranno, è ciò che il protagonista avrebbe voluto fare con l’altro individuo. È un testo riflessivo ed è accessibile a tutti, perché, in un modo o nell’altro, ognuno di noi è in grado di identificarsi con questi concetti. Il fatto che ci siano due testi che parlano del tempo, inizialmente, è stato un caso: sono nati separatamente e con due approcci molto differenti. In seconda battuta, abbiamo comunque riflettuto su questo aspetto, andando alla ricerca di due sonorità differenti, piuttosto distinte, e in grado di rispecchiare le sfaccettature del “tempo” che volevamo descrivere: una è più onirica e fluttuante, l’altra più ritmica e scandita».

E di “Rain”, “Last Ticket” e “Feeling”, in questi termini, cosa vuoi dirmi?

«“Rain” è stata scritta in un piovoso e freddo giorno d’inverno. È innanzitutto una riflessione contro la guerra e tutto ciò che essa comporta: menzogne, false promesse, giovani che muoiono combattendo una guerra dei vecchi. Tuttavia, la canzone è anche, velatamente, autoironica: il protagonista riflette e capisce cos’è la guerra, osservando la pioggia all’asciutto, da una finestra. Perché dovrebbe uscire e agire? “Last Ticket” racconta, invece, in modo sarcastico e un po’ fiabesco, una relazione andata a pezzi, mentre “Feeling” è un viaggio iniziato in auto che termine nello spazio, ossia dove, attraverso la nostra musica, vogliamo “proiettare” gli ascoltatori».

Quali le maggiori influenze musicali confluite nell’ep?

«Ci ispiriamo molto ai Pink Floyd, ai Led Zeppelin, ai Beatles, così come alla scena indie/psichedelica odierna: tra i tanti, citerei Tame Impala e King Gizzard & The Lizard Wizard. Siamo però convinti che la psichedelia non sia tanto un genere, bensì un approccio: si fa musica psichedelica nel momento in cui, come gruppo, si cerca un suono unico e denso, in cui fluttuare».

Raccontami le recording session...

«Sono state effettuate a fine febbraio, tra le mura della Smart Academy di Balerna, dove abbiamo “soggiornato” una settimana, affidandoci a Filippo Dallinferno. Prima di registrare singolarmente ogni strumento, abbiamo inciso una volta ogni canzone, tutti insieme, per avere una traccia base. Per gli effetti, abbiamo utilizzato gli stessi pedalini che usiamo dal vivo, perché volevamo un suono da poter riprodurre sul palco ed evitare di contaminare la nostra musica con effetti digitali. Per la voce distorta che si sente in alcuni pezzi abbiamo inciso prima la linea vocale pulita, per poi farla passare da un amplificatore valvolare per chitarra distorto, riregistrando il segnale in uscita. Ci piacciono questi giochi di produzione e siamo dei perfezionisti quando si tratta di ottenere ciò che vogliamo. Per questo motivo il missaggio è stato un lavoro piuttosto lungo e impegnativo, che però Filippo è riuscito a svolgere egregiamente...».

Quando il primo album?

«Finora stiamo cercando di suonare dal vivo il più possibile, per farci conoscere ma anche perché amiamo particolarmente la dimensione live. La produzione di un primo album è ovviamente uno dei progetti che vorremmo realizzare nel corso del prossimo anno: ora siamo alla ricerca della giusta sonorità, vogliamo ottenere un lavoro distintivo e coeso, sia a livello sonoro, sia a livello tematico». 

E i prossimi concerti in Ticino?

«Il 4 giugno saremo a Castione (Emergenza Festival), il 10 a Lugano (Palco ai Giovani), il 23 in Valposchiavo (Openair Cavaglia), il 24 a Mendrisio (Festa della Musica) e il 21 luglio a Breganzona (Yolo Pub)».

 

 

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