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UNIONE EUROPEAPrezzi stabili e petrolio che “viaggia”, il dilemma della Bce

16.01.18 - 20:05
Per Mario Draghi il prossimo consiglio della Bce, fissato per il 25 gennaio, rischia di essere un rompicapo per il segnale da trasmettere agli operatori
Keystone
Prezzi stabili e petrolio che “viaggia”, il dilemma della Bce
Per Mario Draghi il prossimo consiglio della Bce, fissato per il 25 gennaio, rischia di essere un rompicapo per il segnale da trasmettere agli operatori

ROMA - Da una parte l'euro forte e l'inflazione che non decolla. Dall'altra il petrolio che viaggia ormai a 70 dollari, rischiando di scompaginare le previsioni della Bce spingendo i prezzi.

E' il dilemma della Banca centrale europea, alle prese con un quadro macroeconomico che spinge in direzioni opposte e con la ripresa che riattizza la tentazione dei consiglieri 'falchi' a dichiarare il quantitative easing, 2.300 miliardi di euro di bond finora acquistati, ormai prossimo alla fine.

Per Mario Draghi il prossimo consiglio della Bce, fissato per il 25 gennaio, rischia di essere un rompicapo per il segnale da trasmettere agli operatori. Con il probabile esito di una scelta attendista il vista del meeting successivo, l'8 marzo, quando le nuove stime su crescita e inflazione potrebbero portare una schiarita.

Jens Weidmann, il capofila di coloro che vorrebbero dichiarare morto il Qe, dopo una maggior prudenza negli ultimi mesi (che lo ha persino portato la scorsa settimana a bocciare ogni rialzo anticipato dei tassi) oggi torna alla carica: gli acquisti di bond da parte della Bce «hanno effetti collaterali non trascurabili» e «guardando dal punto di vista di oggi è appropriato» mettere fine al quantitative easing quest'anno.

Giusto ieri Ardo Hansson, consigliere estone dell'Eurotower, aveva detto che la Bce dovrebbe adeguare il proprio orientamento di politica monetaria prima dell'estate e non dovrebbe avere problemi a porre fine agli acquisti del piano di quantitative easing in un colpo solo dopo settembre, quando é prevista scadenza del programma.

E' il segnale che in molti, nel consiglio Bce, fremono. Forti di una crescita che viaggia ai massimi di un decennio, e con gli occhi rivolti al greggio, che se resterà sulle quotazioni attuali comporterà una revisione dell'inflazione attesa (nelle stime di dicembre il prezzo medio del Brent è indicato in 61,60 dollari, ma da inizio gennaio quella media è a oltre 68).

Una frenesia che non fa i conti con l'inflazione, a dicembre inchiodata all'1,4% con un gap vistoso fra il +1,6% della Germania e il magro 0,9% italiano. E che non tiene in conto l'effetto depressivo, proprio sull'inflazione, giocato dall'euro forte: la divisa unica ha segnato ieri un massimo di tre anni a un passo da 1,23 dollari.

Un livello di guardia che mina l'export e l'inflazione importata dall'Eurozona, rischiando di mettere i bastoni fra le ruote alle attese della Bce che prevede un graduale riavvicinamento dell'inflazione alla soglia desiderata, vicina ma inferiore al 2%. E' un mix di fronte al quale, da parte di Draghi, probabilmente prevarrà la prudenza. Quanto la Bce rischi di ritrovarsi divisa sul da farsi lo testimoniano le parole di Francois Villeroy de Galhau, governatore della Banca di Francia e consigliere Bce: «la recente evoluzione del tasso di cambio è una fonte d'incertezza che richiede un monitoraggio riguardo ai suoi possibili effetti sui prezzi all'import».

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