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Sempre più aziende offrono ai dipendenti il permesso di portarli in ufficio: riducono lo stress, migliorano i rapporti fra i colleghi e aumentano la produttività
LUGANO - Quando fu il Giappone a farlo, un paio d'anni fa, la notizia passo un po' sotto traccia, segnalata senza eccessivo clamore. Nel "Paese dei gatti", trattati alla stregua di esseri umani con bar dedicati e tolette gratuite per i randagi, sapere che la Ferray Corporation di Tokyo aveva deciso di assumerne nove, per portare buon umore e profitti in azienda, suonava al massimo come una mezza follia.
Nel frattempo, le cose sono andate oltre. Gli uffici pet friendly si sono moltiplicati e allargati al resto del mondo, Usa in primis ed Europa pian piano non da meno. Dal semplice però non scontato "permesso retribuito" riservato al dipendente che debba occuparsi del suo cucciolo, ormai sempre più diffuso nel Regno Unito, ai congedi cosiddetti "Pawternity leave" per chi ne adotta uno, negli Usa, fino a inviti palesi ad andare al lavoro con il proprio animale.
Amazon e Google sono state fra le prime società a capire che non si trattava solo di una moda: secondo studi scientifici, ricerche di mercato e ora anche la Virginia Commonwealth University, averli accanto permette di garantire prestazioni migliori, a cominciare da un abbattimento provato dello stress. Così in America gli animali domestici sono diventati un vero e proprio antidoto riconosciuto a eventuali malesseri sul luogo di lavoro, dove sono accettati nel 17% dei casi. A Genova, decisione recente, i dipendenti dell'assessorato alla cultura possono far entrare il proprio cane, «migliora il clima fra i colleghi».
E in Svizzera? Va meglio nei cantoni tedeschi, dove un lavoratore su undici dichiara nei sondaggi di aver portato «ogni tanto» il proprio cane al lavoro. Fra gli apripista Purina di Nestlé, nel Canton Vaud e Google a Zurigo. Qui dagli esperimenti si è ormai passati alla prassi. Il Ticino, invece, latita. O no?
