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SVIZZERAGiovedì è il giorno della verità per BNS

12.12.16 - 15:40
La Banca nazionale svizzera in occasione del suo esame trimestrale deciderà se proseguire nell'attuale politica monetaria. Per gli esperti non ci saranno cambiamenti
Giovedì è il giorno della verità per BNS
La Banca nazionale svizzera in occasione del suo esame trimestrale deciderà se proseguire nell'attuale politica monetaria. Per gli esperti non ci saranno cambiamenti

ZURIGO - Giornata importante quella di giovedì per la Banca nazionale svizzera (BNS) che in occasione del suo esame trimestrale deciderà se proseguire nell'attuale politica monetaria. Non ci dovrebbero essere cambiamenti e i tassi di interesse dovrebbero rimanere negativi, secondo gli esperti.

«Uno scenario diverso dalla statu quo rappresenterebbe una vera sorpresa», dichiara Daniel Kalt, economista di UBS contattato dall'ats. L'attuale regime che poggia su due pilastri, ossia il tasso di interesse negativo e gli interventi sul mercato dei cambi per impedire un aumento del franco, sarà verosimilmente ribadito, afferma da parte sua Nadia Gharbi, economista presso Pictet & Cie.

La politica della BNS mira a mantenere i suoi tassi al di sotto di quelli della Banca centrale europea (BCE) con sede a Francoforte, rammenta Sergio Rossi, professore di economia all'Università di Friburgo. Questo serve ad impedire che il franco si rafforzi sull'euro; in questo momento l'eurozona è confrontata con un certo numero di problemi che impediscono qualsiasi aumento dei tassi di interesse.

Alla votazione su Brexit e ad altri fattori si aggiunge l'esito del referendum costituzionale italiano, che accresce il rischio sul sistema bancario delle vicina penisola. Il suo risanamento richiederà forse un sostegno europeo, secondo Rossi.

Se il franco svizzero rimane sotto pressione nei riguardi dell'euro, la situazione nei confronti del dollaro è in evoluzione: mercoledì la Federal Reserve (Fed) molto probabilmente alzerà il proprio tasso di interesse a giudizio di Kalt. Si attende un aumento di 0,25 punti, con un tasso tra 0,5 e 0,75%. Si tratterebbe del primo aumento da un anno. Se la moneta americana si apprezza, per la BNS sarà una preoccupazione in meno: potrà tollerare un leggero apprezzamento sull'euro, rileva Nadia Gharbi.

In uno scenario ideale - prevede Daniel Kalt - la Fed potrebbe nel corso del 2017 alzare due o addirittura tre volte i suoi tassi e la BCE potrebbe diminuire l'acquisto di obbligazioni di imprese, abbandonando nel 2018 i tassi negativi. Tutto ciò porterebbe nel 2019-2020 a misure simili da parte della Banca nazionale, a condizione che non si verifichi una nuova recessione.

Ma se la BNS nell'immediato non può alzare i suoi tassi, difficilmente può abbassarli e deve accontentarsi di agire intervenendo sul mercato dei cambi, in misura di 800-900 milioni di franchi alla settimana, come avviene da due anni, con picchi di 5 e 6 miliardi in occasione di Brexit e dell'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Ridurre ancora i tassi di interesse sarebbe difficilmente sopportabile per l'economia elvetica e potrebbe destabilizzare il proprio sistema finanziario.

Infatti, qualora le banche facessero ripercuotere i tassi negativi sui clienti, questi ultimi ritirerebbero gran parte dei loro risparmi e le banche sarebbero costrette ad affrontare rischi smisurati sui mercati finanziari, commenta il professor Rossi.

A parere del ticinese, la BNS ha "de facto" esaurito il proprio margine di manovra e bisogna individuare altre misure per ridurre il sovrapprezzamento del franco. Bisogna tassare l'acquisto di valuta svizzera sul mercato dei cambi, il che permetterebbe alla Confederazione di incamerare qualche miliardo da destinare alle piccole e medie imprese, che si trovano in difficoltà proprio a causa della forza del franco.

Ma questa - precisa Rossi - è un'idea che alle banche proprio non piace: esse acquistano giornalmente miliardi di franchi per sbarazzarsi degli euro. Già oggi tuttavia un numero crescente di istituti bancari fanno pesare i tassi negativi sui grandi depositi della clientela, in particolare le casse pensioni. Si tratta - commenta il professore - di una sorta di tassa sui depositi bancari.

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