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REGNO UNITOSe ne va anche Glass, Corbyn sempre più solo litiga con Cameron

29.06.16 - 13:28
Dopo le dimissioni della deputata del suo governo ombra si è scontrato con il primo ministro che lo ha invitato a dimettersi
Se ne va anche Glass, Corbyn sempre più solo litiga con Cameron
Dopo le dimissioni della deputata del suo governo ombra si è scontrato con il primo ministro che lo ha invitato a dimettersi

LONDRA - "Per l'amor del cielo, uomo, vattene!". Il premier David Cameron ha la valigia pronta e il cappello in mano, anche se qualche giornale britannico straparla di "ultimatum all'Ue sull'immigrazione" all'indomani dell'imbarazzato vertice post-referendum a Bruxelles.

Ma alla Camera dei Comuni ritrova la verve e prova a infierire sull'altra anatra zoppa della politica d'oltre Manica in tempi di Brexit: Jeremy Corbyn, leader dell'opposizione laburista, sfiduciato nel palazzo da 172 deputati del suo gruppo su 212 e sotto attacco concentrico di media, establishment e nomenklatura in barba al sostegno della piazza dei militanti.

Lo strano duello fra un ex e un quasi ex va in scena durante il question time del mercoledì, il primo dopo il voto che ha spaccato il Paese suggellando il no all'Europa. Sullo sfondo di un terremoto generale in cui la corsa alla successione fra i Tory si avvelena, mentre quella nel Labour rischia di trasformarsi in cupio dissolvi. Ed è proprio il premier conservatore ad apostrofare con l'irrituale invito a dimettersi - quasi un'intimazione - il traballante capo dell'opposizione. Una citazione storica, la sua, che avrebbe del paradossale se non fosse che Cameron in effetti - pur travolto dall'azzardo di un referendum che egli stesso ha voluto - gode in questi giorni di maggiore comprensione fra i suoi notabili di quanta non ne sia concessa a Corbyn: il quale con la convocazione del fatidico (o fatale) voto del 23 giugno non c'entra nulla.

Il botta e risposta si è consumato in una serie di domande incalzanti inanellate dal leader del Labour, combattivo come raramente in passato a dispetto del gelo di molti dei suoi 'compagni', sulle conseguenze economiche del dopo-Leave. E di risposte abili quanto evasive del premier. Corbyn ha contestato a Cameron la mancanza di piani concreti per far fronte agli effetti della Brexit, mentre ha denunciato fra le cause della collera degli elettori le falle di politiche sociali che hanno creato nel Regno "200.000 bambini poveri in più, 300.000 nuovi poveri in termini relativi e 500.000 in termini assoluti".

Il premier ha replicato definendo "assurdo" imputare l'esito del 23 alle condizioni economiche del Paese, escludendo ogni cambiamento in materia fiscale e rinviando al suo "successore" un po' tutto: dalla decisione su quando attivare l'articolo 50 del Trattato di Lisbona per il divorzio dell'Ue, all'eventuale varo di una "legislazione straordinaria" a tutela dei cittadini europei residenti nel Regno in un momento in cui vengono a galla episodi di razzismo che l'aula condanna. Finché, abbandonato il fair play, non è sbottato: irridendo Corbyn, dicendo che ai Tory converrebbe se restasse al suo posto e concludendo con quell'invito stizzito ad andarsene, "per il bene del Paese".

Oggi il segretario del Labour ha perso del resto un altro pezzo del governo ombra, la titolare dell'Istruzione, Pat Glass, che ha gettato la spugna dopo aver accettato l'incarico appena due giorni fa: un record. E intanto nel coro degli appelli rivolti a "Jeremy" a farsi da parte, in nome dell'unità del partito, si sono aggiunte le voci di due suoi predecessori, Ed Miliband e Gordon Brown. Come soluzione alternativa, crescono le quotazioni di Angela Eagle, appena dimessasi da ministro ombra per le Attività Produttive ed esponente d'una sinistra interna più soft di quella corbyniana, che però è stata contestata e accusata di slealtà addirittura nel suo collegio.

A mediare è chiamato il vice leader Tom Watson, ma per ora Corbyn tiene duro: fida nell'appoggio della base, rimprovera ai rivoltosi d'aver spaccato loro il partito e usato il risultato del referendum come un pretesto dopo aver tramato contro di lui per mesi, non avendone mai accettato l'ascesa, e si dice pronto solo a concedere un nuovo voto fra gli iscritti. Partecipandovi.

Fra i Tory, la battaglia è più vellutata. Ma forse non meno spietata. Da oggi è in lizza Stephen Crabb, giovane ministro del Lavoro 'europeista': un outsider. Mentre s'aspettano i due pesi massimi: Boris Johnson, capofila dei Leave, resta la carta migliore in caso di elezioni secondo il Telegraph, ma deve guardarsi dalla concorrenza della titolare dell'Interno, Theresa May, euroscettica moderata, più unitaria di lui, che stando a un sondaggio lo ha scavalcato di misura (29% a 28%) nei consensi degli attivisti.

Senza contare la polemica fra 'brexiters' alimentata dalla moglie del ministro della Giustizia, Michael Gove: sorta di Lady Macbeth alla buona che, in una lettera al marito trapelata sui media, fa emergere ambizioni e rancori. Ma soprattutto il timore di un Boris solo al comando.

 

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