Centinaia di sauditi stanno intanto aderendo all'appello lanciato su Facebook da alcuni cyber-attivisti per protestare, l'11 marzo, già battezzato "giorno della collera", contro l'assenza di riforme del regno saudita, a partire dall'elezione del potere politico, la liberazione dei prigionieri politici e aperture nei confronti delle donne. In Arabia Saudita non c'è un Parlamento eletto, né esistono partiti politici. Riad ha più volte, inoltre, respinto la richiesta degli ancora deboli movimenti della società civile di consentire l'elezione dei consigli municipali.
Le autorità di Riad - a capo di uno dei maggiori esportatori di petrolio al mondo e attore chiave della strategia americana nel Golfo - temono da tempo che la minoranza sciita saudita, circa il 10% della popolazione, possa esser attratta dalle manifestazioni in corso a Bahrein, e sedotta dal "pericoloso" richiamo della vicina Repubblica islamica iraniana.
Poco prima dell'arrivo a Riad di Re Abdullah, la tv di regime saudita aveva annunciato stamani l'avvio di un "piano d'azione per contrastare l'inflazione e sostenere le famiglie bisognose". Il piano, che prevede tra l'altro aumento dei salari e sussidi di disoccupazione, costerà alle casse saudite circa 37 miliardi di dollari: una cifra definita "insignificante" dagli analisti, considerata l'elevata ricchezza della monarchia, che mantiene oltre 400 miliardi di dollari in depositi esteri.