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ZIMBABWEIl nuovo corso del Paese tra equilibri, ruolo dell'esercito e interessi cinesi

27.11.17 - 06:00
Con Mugabe definitivamente fuori dai giochi cosa succederà ad Harare? Lo abbiamo chiesto al professor Mario Zamponi, che ci ha fornito una visione a 360° della situazione attuale
Keystone / AP
Il nuovo corso del Paese tra equilibri, ruolo dell'esercito e interessi cinesi
Con Mugabe definitivamente fuori dai giochi cosa succederà ad Harare? Lo abbiamo chiesto al professor Mario Zamponi, che ci ha fornito una visione a 360° della situazione attuale

HARARE - Negli scorsi giorni Emmerson Mangagwa ha prestato giuramento quale nuovo presidente dello Zimbabwe. Si è così chiusa ufficialmente l'era di Robert Mugabe, leader indiscusso della nazione africana per oltre tre decenni. Il nuovo corso riuscirà a portare stabilità? Quale sarà il nuovo assetto dell'area con il cambio di guida? Che ne sarà di Mugabe.

Tutte queste domande, e altre ancora, le abbiamo rivolte a Mario Zamponi, professore associato di Storia dell'Africa presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università di Bologna, già autore di un interessante analisi sul Paese per l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale italiano.

Il prologo - «Dopo mesi di lotte in seno al partito di governo dello Zimbabwe (ZANU-PF) tra la fazione Lacoste guidata dall’ex vicepresidente Emmerson Mnangagwa, soprannominato il coccodrillo, e la fazione
Generation 40 costruita attorno al presidente Robert Mugabe e a sua moglie Grace, nota anche come Gucci Grace, Mugabe ha destituito Mnangagwa il 6 novembre» ricorda Zamponi. «Si è così aperta una nuova fase di eventi tumultuosi nella lunga crisi che lo Zimbabwe ha vissuto dal 2000. Il 14 novembre i militari, sostenitori del partito di governo e di Mnangagwa, sono intervenuti prendendo il controllo del
Paese, anche se dichiarano che non si tratta di un colpo di stato ma soltanto di un intervento volto a garantire ordine e sicurezza».

La crisi non è esplosa all'improvviso, spiega Zamponi. «Queste lotte recenti nel partito hanno una lunga storia: basti solo ricordare la crisi che portò nel 2014 all’uscita dal partito di un’altra leader storica, l’allora vice-Presidente Joice Mujuru, anch’essa combattente per la liberazione come Mnangagwa, il quale poi la sostituì alla vice-Presidenza. La destituzione di Mnangagwa ha avuto però effetti molto più gravi aprendo una chiara lotta politica con il Presidente Mugabe».

Lo sbocco della crisi - «L’evoluzione della crisi segue poi un passo accelerato. Il presidente Mugabe si dimette il 21 novembre e il 24 Mnangagwa, rientrato in Zimbabwe dal Sudafrica, giura come presidente ad interim, con il compito di traghettare il Paese alle elezioni previste per settembre 2018. La lotta per il potere in vista dell’era post-Mugabe, una lotta che ha visto come contendenti, da un lato, il Presidente e sua moglie e, dall’altro, il suo vecchio “portatore d’acqua”, in quanto sostenitore e uomo potente da sempre vicino al presidente, suo mentore, si è quindi risolta a favore di Mnangagwa. All’inaugurazione allo stadio gremito della capitale Harare, il 75enne Mnangagwa fa un discorso propositivo promettendo di ricostruire il paese, reprimere la corruzione, rafforzare i pilastri della democrazia, attirare gli investimenti stranieri e tenere le elezioni previste per il 2018. In particolare» sottolinea il professore «ha assicurato che avrebbe nuovamente coinvolto i partner internazionali. Ai suoi sostenitori nel quartier generale della ZANU-PF ha rivolto un appello affinché tutti i patriottici cittadini dello Zimbabwe si uniscano per lavorare assieme».

Che ne sarà di Mugabe? - «In questo contesto a Mugabe sarebbe stata garantita protezione come parte di un accordo sulle sue dimissioni. Il presidente sudafricano Jacob Zuma, che ha incontrato Mnangagwa prima del suo rientro in Zimbabwe, ha affermato che è stato assicurato che l'ex presidente Mugabe e la sua famiglia saranno trattati con il massimo rispetto e dignità e che sarebbero stati al sicuro in Zimbabwe».

Cosa riserva il futuro - Tutto a posto, quindi? Detronizzato Mugabe, lo Zimbabwe ritroverà da sé il suo equilibrio? «Questa rapida evoluzione non conclude definitivamente la crisi e la complessa storia del Paese» osserva Zamponi. «Molte le incertezze e le sfide con cui il nuovo leader dovrà confrontarsi. Innanzitutto se e come avviare un processo di transizione basato su un programma di unità nazionale. La ZANU-PF sembra intenzionata a governare da sola, rigettando, al momento, le richieste di governare in coalizione con l’opposizione del Movement for Democratic Change, al fine di gestire elezioni libere e corrette».

Gli equilibri politici - «Il secondo aspetto importante è la stabilità del Paese» aggiunge l'esperto. «Sono presenti preoccupazioni sul fatto che la decisione dei militari di intervenire a sostegno di Mnangagwa - nonostante la loro insistenza (con un occhio alla regione e l'altra ai donatori occidentali) di non aver attuato un colpo di stato - abbia rafforzato la sua già influente posizione. Certamente per molti cittadini dello Zimbabwe forti sono le somiglianze tra l'era Mnangagwa e l'era Mugabe appena conclusa. Come affermato dallo studioso zimbabweano Ibbo Mandaza, i sistemi di sicurezza rimarranno responsabili dei processi dello stato. Se Mnangagwa vuole fare progressi nel suo progetto politico ha bisogno del sostegno di tutto il partito. Ma la ZANU-PF è ancora divisa, anche su linee regionali. In particolare, Mnangagwa dovrà
conquistarsi il sostegno della regione del Matabeleland, un’impresa non facile poiché egli ha responsabilità, come la leadership del partito di governo, per il Gukurahundi, ossia le violenze e le uccisioni perpetrate nei primi anni ’80 contro le popolazioni della regione, violenze che coinvolsero il governo e i sistemi di sicurezza, un passaggio traumatico della storia recente che potrà avere effetti sul sostegno della regione per il nuovo presidente».

Economia, la sfida più grande - Tuttavia, osserva ancora il professor Zamponi, la sfida più grande per Mnangagwa è la situazione economica. «Lo Zimbabwe è in crisi da quasi due decenni. La disoccupazione è alle stelle, ci sono carenze di liquidità e i servizi sociali sono fatiscenti. Le riforme strutturali necessarie per attirare il sostegno straniero saranno pesanti: la Banca Mondiale ha chiesto un forte contenimento della spesa pubblica, compresi tagli ai salari del settore pubblico e misure per affrontare il debito. Mnangagwa ha riconosciuto la sfida, affermando di volere creare posti di lavoro e di cercare
l’appoggio dei paesi della SADC, l’organismo di cooperazione regionale, nonché la collaborazione del continente africano e della comunità internazionale».

Il nuovo assetto della regione - La crisi nello Zimbabwe riguarda sì il Paese, ma anche i suoi vicini. Ci saranno stravolgimenti negli assetti e nelle alleanze? «Sul piano regionale, la SADC tramite il suo presidente di turno, il leader sudafricano Zuma, ha affermato che in Zimbabwe si deve mantenere e proteggere, nella complessa congiuntura attuale, il rispetto dei dettami costituzionali, mentre la Troika, l’organo incaricato di coordinare gli stati membri sui temi di pace e sicurezza, ha chiesto, il 16 novembre, la convocazione di un summit straordinario della SADC. In particolare, Zuma, parlando durante il recente incontro bilaterale con il neo eletto presidente dell'Angola, João Manuel Lourenço, ha affermato che Sudafrica e Angola si sono congratulati con il nuovo presidente Mnangagwa, e hanno promesso di sostenere i cittadini dello Zimbabwe in questo nuovo capitolo della loro storia. I due presidenti hanno altresì reso omaggio a Mugabe per il suo “contributo valoroso” alle lotte di liberazione dell'Africa meridionale contro il colonialismo e l'apartheid. Entrambi si sono detti d’accordo sul fatto che il posto del Presidente Mugabe nella storia delle lotte di liberazione del continente sarà ricordato e riconosciuto per sempre».

Un occhio alla Cina - «Sul piano internazionale un occhio va rivolto alla Cina» osserva Zamponi. «Ci sono state affermazioni secondo le quali la Cina potrebbe aver dato il via libera al colpo di stato, dopo che il comandante dell'esercito, il generale Chiwenga - stretto alleato di Mnangagwa - è stato in visita a Pechino pochi giorni prima. Mnangagwa è, infatti, un collaboratore di lunga data dei cinesi, come la maggior parte degli ex veterani della lotta di liberazione dello Zimbabwe, e ha ricevuto addestramento ideologico e militare a Pechino. Questo non significa, tuttavia, che i cinesi abbiano sponsorizzato o programmato
il colpo di stato. Certamente Pechino guarda al maggior pragmatismo in campo economico del nuovo leader come un’importante opportunità per i forti interessi economici cinesi nel Paese». Non solo la Cina, però, è chiamata a guardare al nuovo corso di Harare: «Gli attori internazionali, soprattutto occidentali, che a suo tempo hanno avuto un ruolo forte nell’isolare lo Zimbabwe anche con "smart sanctions" che avevano colpito lo stesso generale Chiwenga, oggi sono chiamati a favorire la ricostruzione di un nuovo quadro istituzionale condiviso».

Un passo verso la democrazia? - «Infine» conclude Zamponi «molti si chiedono se il cambiamento porterà a progressi democratici e maggiore rispetto dei diritti umani. Anche questo al momento non è un passaggio lineare. Possiamo dire che è in corso una transizione e un cambiamento, molto più difficile prevedere attraverso quali effettivi assetti di mediazione e processi di ricomposizione del quadro democratico nel Paese. Come sostiene lo studioso e attivista zimbabwano Brian Raftopoulos, la ZANU-PF userà l'attuale grande popolarità per rinvigorire le sue fortune. Le posizioni dominanti volte alla ricerca di stabilità economica e politica a tutti i costi hanno fornito alle forze armate lo spazio per legittimare il loro intervento a favore di Mnangagwa, mentre l'opposizione frammentata appare debole. L’intervento
militare potrebbe rivelarsi una grande opportunità per Mnangagwa e i suoi sostenitori, con incertezze per le future alternative democratiche nello Zimbabwe. Gli attori regionali e internazionali possono svolgere un ruolo propositivo, a patto che considerino la complessa storia dello Zimbabwe».

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