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La falsa rivoluzione del politicamente corretto

Una deriva moralistica che ha portato alla condanna di film, libri, opere d’arte, statue e perfino i cartoni animati
Una deriva moralistica che ha portato alla condanna di film, libri, opere d’arte, statue e perfino i cartoni animati

Si dice "indicare la luna e fissare il dito" tutte quelle volte in cui si perde di vista il vero obiettivo del nostro agire fissandosi, invece, su dettagli secondari o inutili. E’ un po' quello che sta succedendo ai giorni nostri con i movimenti rivoluzionari del #metoo, nato per denunciare le violenze sessuali e di genere a cui sono sottoposte ovunque nel mondo le donne, o del #blacklivesmatter che denuncia il dramma del razzismo nella società moderna. Tali movimenti, nati per scopi più che nobili, con il passare del tempo hanno preso, in molti casi, una deriva moralistica che ha portato alla condanna di film, libri, opere d’arte, statue, grandi marchi e produttori di cibo.


Capitolo 1

Walt Disney proibita


Walt Disney

Non passa giorno senza che venga messo alla gogna un atteggiamento razzistico o una violazione di genere, fosse anche da parte dei corvi amici dell’elefantino Dumbo o da parte del principe azzurro che bacia, senza alcun consenso esplicito, Biancaneve.

Walt Disney

Biancaneve censurata - Negli Stati Uniti le polemiche si sono abbattute sul colosso dell’animazione per famiglie targata Walt Disney. Nel parco divertimenti californiano Disneyland è stato di recente restaurato un percorso avventura dedicato a Biancaneve e i sette nani, chiamato ‘Snow White’s Scary Adventure’, che ripercorre le tappe principali della storia grazie a particolari effetti video ed audio. Alla fine del tragitto è stata posizionata una statua rappresentante il principe che dà a Biancaneve il bacio ‘del vero amore’ ma tale effusione non è stata ben accolta da Katie Dowd e Julie Tremaine, giornaliste del quotidiano online ‘San Francisco Gate’. Le due hanno innescato una feroce polemica contro gli organizzatori del parco, rei di aver voluto enfatizzare un bacio non consensuale. “Tale scena dell’attrazione e del cartone animato- a detta delle due giornaliste- sarebbe totalmente diseducativa in quanto equiparabile a un inno ai soprusi di genere”  e ne avrebbero invocato la censura visto che “insegnerebbe ai bambini a baciarsi quando non è stabilito se entrambi le parti siano disposte ad impegnarsi”. Il bacio incriminato ha gettato nel panico i vertici della Disney che da tempo si è fatta promotrice di una sorta di personale revisionismo storico bollando, come diseducativi, dei propri film colpevoli di diffondere ‘stereotipi dannosi’. La casa di produzione ha infatti scelto di vietare ai minori di 7 anni alcuni dei suoi classici più famosi e di inserire una dichiarazione di esclusione di responsabilità, in inglese disclaimer, che avvisa lo spettatore dei contenuti dannosi del film. “Questo programma include rappresentazioni negative e/o denigra popolazioni e culture. Questi stereotipi sono sbagliati allora e lo sono ancora. Piuttosto che rimuovere tale contenuto dannoso-si legge nell’avvertenza-vogliamo riconoscere l’impatto dannoso, imparare da esso e stimolare il dibattito per creare insieme un futuro più inclusivo”.

Walt Disney

 

Il "razzismo" degli aristogatti e di Dumbo - Alcuni dei cartoni animati più famosi della produzione disneyana sono stati bollati di razzismo: è il caso degli ‘Aristogatti’, a causa della rappresentazione del gatto siamese Shun Gon con baffi spioventi e dentoni, o di ‘Lilli e il Vagabondo’ che, sempre per una coppia di malefici gatti siamesi, sono stati accusati di “discriminazione razziale nei confronti degli asiatici”. ‘Peter Pan’ sarebbe reo di razzismo nei confronti dei nativi americani chiamati ‘pellerossa’, mentre in ‘Dumbo’ si sarebbe fatto il verso al dramma degli schiavi afroamericani con la rappresentazione di una banda di corvi, vestiti di stracci, che fischiettano in tono canzonatorio “ E quando veniamo pagati buttiamo via tutti i nostri soldi”. Stessa sorte è toccata al ‘Libro della Giungla’ che “contiene atteggiamenti superati, linguaggio e rappresentazioni culturali che al giorno d’oggi potrebbero essere offensivi” e lo stesso dicasi del film del 1960 ‘Robinson nell’Isola dei Corsari’ dove i pirati sono etichettati come ‘faccia gialla o ‘faccia marrone’. La mannaia della censura si è abbattuta anche sul capolavoro ‘Fantasia’, il primo film commerciale trasmesso in stereofonia. Nella scena ambientata sul Monte Olimpo è stata eliminata la scena in cui un centauro dal pelo nero pulisce gli zoccoli ad uno bianco.


Capitolo 2

 Malati di correct


Se in tanti si fanno sostenitori di questa forma estrema di politicamente corretto per altri si tratta di una deriva moralistica che, in nome di una correttezza più formale che sostanziale, fa perdere di vista il reale valore di battaglie quali l’inclusione o la parità di genere.

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Alle origini del politically correct - Di ‘politicamente corretto’, calco della locuzione anglosassone ‘politically correct’ si parla ormai da quasi un secolo.Tale concetto è nato, infatti, intorno agli anni ’30 del secolo scorso negli Stati Uniti ma ha iniziato a prendere piede negli anni ’80, nel contesto progressista dei college americani in cui prende corpo l’idea che l’Università si possa fare promotrice di una reale giustizia sociale. E’ proprio qui che iniziano a diffondersi gli ‘speech codes’, ossia dei precisi regolamenti verbali che sottopongono a delle sanzioni tutti coloro che abbiano utilizzato un linguaggio sessista, razzista o omofobo. La battaglia principale del politicamente corretto verte proprio sulla lingua e su un uso più rispettoso del linguaggio. Già nel 1993, il critico d’arte Robert Huges aveva pubblicato un trattato dal titolo ‘La cultura del piagnisteo’, dove si auspica che tutto si politicamente corretto, dai comportamenti sessuali ai gusti letterari, al modo di parlare, vestirsi e comportarsi. La provocazione messa in campo dell’autore è che ci sarebbe un modo giusto di fare le cose che consisterebbe nell’adeguarsi ai desiderata di pochi gruppi di facinorosi e lamentosi di ogni sorta, pronti a compattarsi in una maggioranza inquisitoria.

La cultura della vergogna - Altra pietra miliare è il saggio ‘Politicamente corretto’ di Jonathan Friedman  secondo il quale “il politicamente corretto non è una questione di censura o ipocrisia linguistica ma un più profondo fenomeno sociale, antropologico e politico” che si fonderebbe “sulla cultura della vergogna”, ossia un atteggiamento di autocensura e di omologazione che porta un soggetto a non esprimere una propria opinione per non essere giudicato e marginalizzato dagli altri. Se è vero che  molte battaglie, condotte in nome del politicamente corretto, sono riuscite a sradicare il malcostume legato all’utilizzo di termini molto offensivi, anche tale concetto è stato contaminato da un suo utilizzo eccessivamente moralistico ed intransigente.

Questione di termini corretti - Tra i casi più eclatanti quello di un amministratore dell’Università della California che si è scagliato contro espressioni quali ‘nip in the air’, un freddo pungente, o ‘a chink in one’s armour’, un punto debole, visto che ‘nip’ è un termine denigratorio per intendere giapponese mentre ‘chink’ è un modo offensivo per definire un cinese. Il punto cardine del politicamente corretto è, come detto, la correttezza nell’utilizzo dei termini, di modo che una certa sensibilità linguistica sia specchio di una maggiore sensibilità culturale. Non si può negare, però, che tale sensibilità sia in continuo mutamento e che in ogni epoca muti, e anche di molto, ciò che viene socialmente tollerato.

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La rivoluzione dei social - L’uso di internet e dei social media ha comportato una vera e propria rivoluzione. Se prima del loro avvento era influente, a livello politico e sociale, il pensiero di pochi, ora chiunque può esprimere e rendere pubblico il proprio pensiero vincolando, al proprio modo di vedere e sentire, un numero sempre crescente di persone. Se, da una parte, i social hanno operato una grande rivoluzione democratica, dando spazio anche a minoranze che prima non avevano modo di mettere in luce il proprio pensiero, d’altra parte ha dato spazio a chiunque di poter esprimere la propria idea, giusta o sbagliata che sia.

L'arte di mettere alla gogna - La conseguenza è stata il proliferare di immaginari tribunali dove mettere alla gogna chi non condivide lo stesso nostro pensiero o per giudicare cose, fatti o persone che si ritiene violino la mia personale sensibilità. La battaglia ideologica, portata alle estreme conseguenze, si è spostata dal campo linguistico ad ogni singolo aspetto della nostra realtà. Si è partiti con una sempre maggiore ed aggressiva tendenza al ‘calling out’, ovvero smascherare certi atteggiamenti di personaggi pubblici, scavando nel loro passato digitale, con conseguenze pubbliche spesso importanti, fino alla dominante ‘cancel culture’, la pratica di cancellare un personaggio pubblico a seguito di dichiarazioni che possono risultare controverse o palesemente discriminatorie.


Capitolo 3

 La cultura della cancellazione


Via col vento

La cultura della cancellazione si caratterizza per un modo di agire inflessibile volto a mettere alla pubblica gogna chiunque commetta un infrazione in nome di una interpretazione rigida di termini quali correttezza ed inclusione. Loretta Ross, una attivista afroamericana, ha definito la ‘cancel culture’ come l’atteggiamento delle persone “che cercano di espellere chiunque non sia perfettamente d’accordo con loro piuttosto che rimanere concentrate su coloro che traggono profitto dalla discriminazione e dall’ingiustizia”. Una sorta di moderna forma di ostracismo con cui una tale persona o un determinato gruppo commerciale vengono messi al bando ed esclusi dalle frequentazioni in ambito sociale e professionale.

KeystoneHARVEY WEINSTEIN

Il caso Weinstein - Da diversi anni la "cancel culture" procede spedita e ormai non si contano più le ‘sparizioni’ che la stessa ha prodotto. Inizialmente si è avuto il ‘caso Harvey Weinstein’ e tantissime attrici e celebrità hanno trovato il coraggio di uscire allo scoperto denunciando gli abusi sessuali a cui il potente produttore cinematografico le aveva sottoposte. Grazie all’impegno giornalistico di Ronan Farrow, premiato con un Pulitzer, ed alla nascita del movimento di denuncia delle violenze sessuali #metoo, è stato quindi scoperchiato il vaso di Pandora delle violenze sessuali esercitate, nello specifico da Weinstein, per poi includere la denuncia a qualsiasi atteggiamento minimamente sconveniente, prontamente catalogato come ‘abuso’. Il problema, come precedentemente analizzato, è che affianco a battaglie sacrosante quali quella contro le violenze sessuali o di genere si assista ad una sorta di guazzabuglio in cui l’importante campagna #MuteRKelly, nata per boicottare un cantante milionario accusato, in forza di prove schiaccianti, di violenze sessuali e pedofilia, faccia il paio con la cancellazione nel film ‘Space Jam: a New Legacy’ della puzzola dei  Looney Tunes Pepè le Pew, accusata di recente di maschilismo e molestie sessuali. Secondo Charles M.Blow, editorialista del New York Times, il personaggio di Pepè “promuove la cultura dello stupro”. Soggetta a molte critiche è stata l’assegnazione del premio Cèsar al regista Roman Polanski, accusato di violenza sessuale a danno di un aspirante attrice minorenne negli anni ’70. Al momento della sua proclamazione a vincitore, l’attrice Adèle Haenel ha abbandonato la sala in segno di protesta seguita poi dalla regista Cèline Sciamma. 

Demonizzato Cristoforo Colombo - Dopo l’omicidio di George Floyd, avvenuta il 25 maggio dello scorso anno, ed il nascere del movimenti #blacklivesmatter, si sono registrati moltissimi episodi ascrivibili alla ‘cancel culture’ e destinati a far sparire qualsiasi manifestazione della cultura razzista o presunta tale. In diverse città degli Stati Uniti sono state abbattute le statue di Cristoforo Colombo. colpevole di aver permesso, con la sua scoperta geografica, la colonizzazione delle Americhe e la riduzione in schiavitù delle popolazioni indigene ed africane. Molte città americane si sono dichiarate ‘Columbus Day Free’ ed il giorno di Colombo, festeggiato il 12 ottobre, è stato trasformato nell’Indigenous People Day. Anche la statua di Junipero Serra, santo patrono della California, è stata abbattuta perché il missionario sarebbe il  simbolo del colonialismo.

Via col vento

Via col vento nel ciclone - Lo stesso sentimento di rivalsa ha portato alla cancellazione dal catalogo Hbo, del film vincitore di 8 premi Oscar ‘Via col Vento’ accusato di proporre una immagine edulcorata della schiavitù degli afroamericani, una sorta di ‘schiavitù buona. Il film è stato poi reintrodotto nel catalogo accompagnato da un disclaimer in cui si legge che ‘nega gli orrori dello schiavismo’. Tra i contenuti extra è stato poi inserito un video della studiosa e personaggio televisivo Jacqueline Stewart, la quale spiega che ‘Via col Vento’ “rappresenta il Sud come un mondo di grazia e bellezza senza riconoscere le brutalità del sistema della tratta degli schiavi sul quale quel mondo era fondato”. Al centro di un agguerrito dibattito è finito anche il personaggio di Apu della serie ‘I Simpson”, un personaggio indiano caratterizzato, secondo molti, da alcuni stereotipi riguardanti questa popolazione e doppiato da una persona bianca.

Apu messa in pausa - Nel 2017 uscì un documentario dal titolo ‘The problem with Apu’, il problema con Apu, scritto dal comico Hari Kondabolu, in cui lo stesso confessa che da bambino era stato felice di vedersi rappresentato come indiano in tv ma che poi, crescendo, aveva preso coscienza della falsa rappresentazione che tale personaggio dà della popolazione indiana. Nel 2020 l’attore Hank Azaria, storico doppiatore del personaggio incriminato, ha dichiarato che non avrebbe più prestato la propria voce per la serie animata e che questa sembrava la decisione più corretta per tutto il team di lavoro. Attualmente il personaggio di Apu, anche se non formalmente cancellato, è stato messo in pausa per studiarne una sua possibile evoluzione.

Bianchi e neri - In questo proliferare di lotte sociali e denunce di comportamenti scorretti, sta emergendo sempre più la questione del ‘white saviour’, vale a dire l’escamotage di usare, nei film, un personaggio bianco buono che aiuta uno di colore ad emergere dalla sua situazione di svantaggio. Il prototipo è l’avvocato Atticus Finch, protagonista del romanzo ’Il buio oltre la siepe’, ma attualmente se ne discute molto in merito al film del 2011 ‘The Help’, uno dei più popolari del catalogo Netflix. A fronte di tale successo, una folle inferocita, con tanto di manifestanti in strada, ne ha chiesto la rimozione in quanto “ci sono film migliori e più profondi sulla questione nera di un gruppo di cameriere di colore aiutate da una ragazza bianca in cerca di fama”. Davanti a tale marasma, e per la paura di perdere lucrosi abbonamenti, Netflix è corsa ai ripari inserendo nel proprio catalogo una carrellata di film sulla questione afroamericana con tanto di bollino di qualità mentre Viola Davis, vincitrice di un premio Oscar proprio per ‘The Help’, ha dichiarato che “Mi pento di aver partecipato a The Help, alla fine è un film che ha dato voce più alle ragioni dei bianchi che a quelle dei neri”.

L'era dell'intolleranza - Il 7 luglio dello scorso anno, è stata pubblicata, sulla rivista americana Harper’s, una lettera firmata da circa 150 intellettuali, tra cui Noam Chomsky, J.K Rowling, Salman Rushdie e Margarte Atwood, nella quale si sosteneva che la cultura dell’annullamento avesse creato un “clima intollerante” e avesse indebolito “le norme del dibattito aperto”. In essa si legge che “rifiutiamo ogni falsa scelta tra giustizia e libertà, che non possono esistere una senza l’altra. Come scrittori abbiamo bisogno di una cultura che ci lasci spazio per la sperimentazione, il prendersi rischi e fare errori. Dobbiamo preservare la possibilità di un disaccordo in buona fede “. La pubblicazione di tale lettera ha immediatamente scatenato un acceso dibattito internazionale e le maggiori critiche si sarebbero incentrate sul fatto che i firmatari della missiva farebbero parte di una élite culturale di privilegiati. Secondo Alexandra Ocasio-Cortez, la lettera di Harper’s non terrebbe veramente conto delle voci, marginalizzate per anni, dal giornalismo mainstream e dall’editoria che conta. Un’altra critica che la lettera si è attirata si fonda sul fatto che gli intellettuali interessati non hanno fatto alcun concreto cenno ad esempi di censura  o fornito dati concreti a sostegno della propria tesi. Secondo i maggiori detrattori di tale iniziativa pubblica, il maggiore torto della lettera sarebbe quello di parlare di “intolleranza” e “umiliazione pubblica” confondendola però con il diritto di chiedere conto agli intellettuali delle proprie opinioni e delle proprie scelte passate e presenti.

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La mamma di Harry Potter nella bufera - Pochi mesi dopo la pubblicazione della missiva incriminata, a finire nel mirino è stata proprio una delle sue firmatarie: la celeberrima J.K. Rowling, autrice, tra le tante cose, della saga di Harry Potter. La scrittrice si sarebbe resa colpevole di aver pubblicato un libro in cui il protagonista è un serial killer transessuale e la sua transfobia sarebbe stata ricondotta, dal giornalista del Telegraph Jake Kerridge, alla frase “Non fidarti mai di un uomo travestito”.  La scrittrice, comunque, non è nuova a tale genere di bufera mediatica per via delle sue posizioni favore della famiglia tradizionale che vengono giudicate transfobiche e controverse. Nel 2019, all’Obama Foundation summit, Barack Obama aveva dichiarato che la ‘cancel culture’ non può intendersi come attivismo ed aveva la percezione che i giovani si sforzassero di essere “il più giudicanti possibile” illudendosi di forzare così un reale cambiamento sociale. “Alla fine- aveva detto nel suo discorso l’ex presidente degli Stati Uniti- in ogni essere umano, il bene ed il male sono mescolati insieme. Non c’è mai un discorso binario. Un’opinione sgradevole è solo uno specchio dei fatti. Nulla è netto”. Il rischio, quindi, rimane quello di trasformare delle giuste battaglie in rivoluzioni di superficie, in cui ci si illude di cambiare il mondo ma si nasconde semplicemente la polvere sotto il tappeto sperando che il non vedere un problema equivalga ad averlo risolto.


Appendice 1

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