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SVIZZERA / FRANCIAGodard, l'ultima giovinezza a 85 anni

30.11.15 - 14:25
Autore geniale e provocatore, compierà gli anni il prossimo 3 dicembre
Godard, l'ultima giovinezza a 85 anni
Autore geniale e provocatore, compierà gli anni il prossimo 3 dicembre

GINEVRA - Il ginevrino Jean-Luc Godard è nato a Parigi il 3 dicembre di 85 anni fa, figlio di un medico e dell'abbiente erede di una stirpe di banchieri, è cresciuto in un collegio svizzero, si è formato alla Sorbona e laureato in etnologia. Ha insomma il pedigree del perfetto borghese e forse proprio nella formazione stanno le radici della sua irrequietezza ribelle, delle sue passioni critiche e delle scelte politiche, alimentate prima dalla generazione dello scontento e poi dal fuoco del '68.

Alla vigilia del suo compleanno resta fedele all'immagine di vecchio/bambino ribelle, schivo, insofferente dei media e del consenso, indifferente perfino agli onori, nonostante un Leone d'oro (nel 1983), un Pardo d'oro (alla carriera nel 1995) e un Oscar onorario nel 2011.

Da molti anni è considerato l'ultimo, romantico sperimentatore dell'immagine in movimento. In verità, fin da ragazzo, verrebbe da definirlo un alchimista del cinema, impegnato a confondere le tracce, a mischiare i generi, a cercare la pietra filosofale della perfezione in cui annullarsi, lui per primo.

Tanto che nei film più recenti ha perfino scelto di scrivere i dialoghi con frasi altrui, di sostituire il linguaggio con una babele di suoni, di attingere alla perfezione assoluta dell'immagine fissa, sconfessando la sua antica passione per una grammatica "surrealista" del racconto e del montaggio.

I critici dividono il suo percorso artistico in quattro fasi: la prima è quella che discende per linea diretta dal suo amore per il cinema americano e, di conseguenza, dalla sua insofferenza per il classico cinema francese.

In questa stagione, a cavallo tra gli anni '50 e '60, si avvicina al cinema con graffianti saggi da critico, milita nei "Cahiers du Cinéma", ispira i movimenti più radicali della parigina Rive Gauche, gira i primi cortometraggi, divide con l'amico più caro François Truffaut il set di "Une histoire d'eau" e si fa consigliare da lui per l'esordio nel lungometraggio: "Fino all'ultimo respiro" (1960).

Il successo inaspettato della pellicola e del suo protagonista, Jean-Paul Belmondo, è un colpo fragoroso sulla scena del cinema francese: montaggio sconnesso, scelte "brechtiane" della recitazione, libertà espressiva ai confini dello scandalo, cinepresa "a spalla" e provocazione programmata. Ce n'è di che animare un'intera generazione di coetanei in cerca d'identità e di una comune poetica.

Sta nascendo la Nouvelle Vague e Godard vi contribuirà con film sempre inaspettati, ma spesso di successo: freneticamente attivo, il giovane prodigio dirige 10 film in cinque anni e quasi tutti lasciano il segno. "Le petit soldat", "I carabinieri", "Una donna è una donna", "Vivre sa vie", "Il disprezzo", "Missione Alphaville". In due casi si tratterà di opere che passano alla storia: "Bande à part" che diventerà il manifesto della sua generazione e "Pierrot le fou" che consacrerà Belmondo.

Nello stesso periodo tre uragani cambiano per sempre la vita del regista e dell'uomo: l'amour fou per Anna Karina che è musa e compagna; la frattura, presto insanabile, con l'amico Truffaut; la scoperta del marxismo che lo spinge a rinnegare il mito della cultura americana e poi lo porterà al cinema militante, rompendo definitivamente gli argini del racconto tradizionale.

Sta nascendo il '68 e Godard lo accompagna con film allora molto popolari e oggi più credibili come saggi che come opere compiute: "La cinese", "Week end", "Pravda", "Vento dell'est" (con Gian Maria Volontè), "Crepa padrone" (con Yves Montand). In questo secondo periodo artistico l'autore si annulla, ma il pensiero politico va di pari passo con la ricerca di un linguaggio alternativo.

Un grave incidente di macchina costringe per un triennio (dal '72 al '75) Godard al silenzio ed è un momento doloroso che pone temporaneamente fine alla sua frenesia creativa. L'uomo e l'artista che ritorna a lavorare è ancora un altro: crede ancora nel film saggio ma volge lo sguardo sulla forma del cinema, sul senso di comunicare ad altri emozioni e un pensiero esistenziale che si è fatto elitario e solitario.

È una stagione coronata dal consenso critico, ma con la distanza del tempo (siamo negli anni '80) è onesto dire che la suggestione ha preso il posto dell'invenzione e dell'asserzione. Film molto amati come "Passion" (1982), "Prenom Carmen" (premiato a Venezia nell'83 dal presidente della giuria, Bernardo Bertolucci come esplicito atto d'amore per un maestro), "Detective" (con l'altro mito francese, Alain Delon), "Nouvelle Vague (1990), "Germania Nove Zero" (omaggio esplicito e provocatorio al Rossellini di "Germania Anno Zero") sono poemetti lirici sull'uomo e sul mondo in cui, più del senso, si trattiene l'emozione visiva e auditiva.

Il quarto e ultimo periodo dell'"opus magnum" di Jean-Luc Godard si intreccia con il precedente, giacché già nel 1977 dà inizio a un viaggio ibridato nelle forme della tv con "Six fois deux", sei puntate sul tema della comunicazione. Un decennio dopo avvierà il completamento di questo progetto di cine-critica sperimentale con la monumentale "Histoire(s) du cinéma", nove capitoli audiovisivi dedicati alla storia ideale del cinema, completati nel 2004.

Ma le conseguenze della sua riflessione vanno a influenzare anche il suo lavoro successivo, da "Notre musique" (2004) a "Film socialisme" (2010) fino al recente "Addio al linguaggio" inviato al festival di Cannes senza che l'autore ritenga necessario accompagnare la sua opera, con una sdegnosa presa di distanza dal grande circo mediatico.

Un artista che si esalta nella piena consapevolezza degli strumenti del suo lavoro: nel piccolo laboratorio che si è costruito vicino casa a Ginevra ha messo a punto, come un bravo orologiaio, tecnologie e meraviglie, dal 3D artigianale alle microcamere digitali. Oggi il nome Godard è un monumento, un pezzo di storia del '900 sopravvissuto nel nuovo secolo.

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