Il tema dei preti pedofili sta occupando le prime pagine dei quotidiani ticinesi. E in questi giorni si registra pure una querelle tra la RegioneTicino e il Giornale del Popolo. A quest'ultimo è piaciuto poco l'editoriale di Matteo Caratti di qualche giorno fa "Chiesa e pedofilia, la dura lezione romanda ci servirà", tanto che ieri il giornale della curia ha deciso di rispondere al direttore de laRegioneTicino con un commento intitolato "Fra le travi e le pagliuzze" le seguenti parole:
"Matteo Caratti dubita di poter credere al Vescovo che deplora e condanna senza riserve ogni caso di abuso e rivanga vecchi casi, dove anche la giustizia aveva condiviso, come nel caso di Gordola, i giudizi del Vescovo su un comportamento inopportuno di polizia e magistratura. Si fosse fatto un intervento preventivo, invece che provocatorio, le cose sarebbero andate diversamente. Quando il sacerdote venne trasferito, lo si fece informando le persone che dovevano essere informate. I tempi della gogna, quando si mandavano in giro i colpevoli con al collo i cartelli dei loro errori, dovrebbero essere passati per sempre. Quanto all’altro caso evocato da Caratti, il docente incriminato venne allontanato al termine dell’anno scolastico, ritenendo che sarebbe stato meno traumatico per gli allievi e potendo offrire tutte le garanzie di comportamenti corretti e sicuri, come del resto fu.
Lasciamo perdere poi il paragone tra scuola pubblica e scuola privata, strumentalizzazione certamente indegna, considerato che anche nella scuola pubblica simili casi si sono purtroppo verificati.
Il direttore di un giornale tanto prodigo nel pubblicare pubblicità di prostituzione, prima di togliere la pagliuzza dall’occhio del prossimo, pensi alla trave del suo. (red.)"
E oggi è arrivata immediata la risposta di Matteo Caratti che in un nuovo intervento intitolato "Chiesa e pedofilia, no, non ci siamo" scrive:"
(...)"Ripetiamo allora la nostra domanda forse non capita: fra le misteriose persone che a loro dire « dovevano essere informate » quando il parroco ad inchiesta penale aperta venne trasferito lontano dal Ticino (precisamente per più di un anno nella parrocchia italiana di Sesto Calende) figuravano anche la comunità dei fedeli e le autorità politiche? Il problema è molto serio visto quanto afferma di voler fare ora la Conferenza episcopale svizzera per evitare che si continuino a spostare ( e in taluni casi a nascondere) parroci che si macchiano di reati penali. Visto che don Casiraghi oltre che ad esser processato per fatti ammessi doveva pure venir curato, chi poteva garantire che a Sesto Calende il sacerdote, che continuava ad avere contatti con i parrocchiani, non sarebbe ricaduto ancora in una recidiva? Chi sceglie e difende questo nebuloso modo di procedere, purtroppo, di certe basilari garanzie se ne impippa, dimostrando di considerarsi una società a parte con delle proprie regole. Alzi la mano chi permetterebbe al proprio figlio di frequentare una parrocchia sapendo che si aggira un parroco sotto inchiesta per atti sessuali su fanciulli!
Veniamo all’altra risposta pubblicata ieri dal Gdp: « quanto all’altro caso – sta scritto sul giornale – il docente incriminato venne allontanato al termine dell’anno scolastico, ritenendo che sarebbe stato meno traumatico per gli allievi e potendo offrire tutte le garanzie di comportamenti corretti e sicuri, come del resto fu ». Non ci siamo davvero: si ammette tranquillamente che in una scuola privata è stato permesso ad un docente di rimanere tutto l’anno scolastico a contatto con allievi (e con la sua vittima) mentre era già sotto inchiesta per reati sessuali su fanciulli... perché il collegio dava la garanzia che non vi sarebbe stata una recidiva. Ancora una volta, par di capire, costoro rivendicano di poter essere una società nella società, con regole tutte loro. Ripetiamo anche in tal caso le domande: perché non sospendere il docente come avviene nelle scuole pubbliche in attesa della sentenza?" (...)