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CANTONEPaure di un tempo tra sguardi pieni di parole

18.03.15 - 06:00
Il regista grigionese Riccardo Lurati narra la genesi di “Paure d’autunno”, in uscita il prossimo mese di maggio
Paure di un tempo tra sguardi pieni di parole
Il regista grigionese Riccardo Lurati narra la genesi di “Paure d’autunno”, in uscita il prossimo mese di maggio

LUGANO - A un anno dalla sua ultima produzione cinematografica, “Henriette – Ultimo atto”, per la quale si è aggiudicato il Premio grigionese per la cultura, tra poco più di due mesi Lurati presenterà al pubblico il suo nuovo film, un corto di 36 minuti, la cui “prima” è in programma il 20 maggio al Cinema Iride di Lugano.

“Paure d’autunno” racconta la vita quotidiana di un villaggio del Canton Grigioni negli anni Sessanta, in particolare quella di un gruppo di donne che, giorno dopo giorno, si radunano a cucinare le pietanze tipiche della zona: un modo per ritrovarsi, ma anche per condividere le paure e le incertezze che ognuna di loro porta dentro di sé… Nel cast, tra gli altri, Nunzia Zenker, Antonella Di Raimondo, Giovanni Fratus e Daniele Pintus.

Riccardo, attraverso questo film torni a raccontare i luoghi delle tue origini… Una necessità?

"Certamente! Trovo sia molto importante non dimenticarsi del passato e nemmeno delle proprie origini. Anche in questo lavoro, quindi, ho deciso di parlare della mia valle, della mia zona, cioè di Roveredo (Grigioni). Inoltre, un altro aspetto rilevante se non fondamentale legato a questa pellicola è il dialetto, attraverso cui sono stati elaborati alcuni dialoghi con l’intento di tramandare la lingua - il dialetto amo definirlo così - che si parlava un tempo e che si parla, seppur un po’ meno, tuttora. Gli attori, inevitabilmente, hanno dovuto studiarlo... Da ultimo, ma non meno importante, è il discorso delle mie origini: ho vissuto tutta la mia infanzia a Roveredo e, di conseguenza, conosco molto bene questi luoghi. C’è inevitabilmente anche un aspetto affettivo: nel film si incontrano anche delle situazioni e dei volti che ho vissuto da bambino..."

Quando hai incominciato ad abbozzare le prime idee?

"Nel mese di marzo 2014, più precisamente nel momento in cui stavo presentando “Henriette – Ultimo atto”. Era da tempo che pensavo di portare sullo schermo la vita delle Valli Mesolcina e Calanca degli anni Sessanta, anche con l’intento di far (ri)scoprire al pubblico le pietanze di una volta".

Quali piatti ritroveremo nella pellicola?

"Parlare puramente di cucina o parlare di ricette è un po’ riduttivo. Il mio intento è anche quello di voler portare sullo schermo un gruppo di donne che si ritrovano attorno a un tavolo, o davanti a un fuoco, per parlare, per raccontare e raccontarsi. Vuole essere soprattutto un lavoro sulle paure, sulle emozioni e sui sentimenti. Ognuno di noi, d’altra parte, ha delle paure che spesso tiene dentro di sé. Nel frattempo, ho tentato di presentare le pietanze come fossero delle “piccole” opere d’arte".

Vuoi entrare nel dettaglio di queste paure, di queste incertezze?

"Nel film si cucina, si cucina molto, ma tutto viene fatto con un rigoroso silenzio, in cui sono molto più importanti gli sguardi e certi atteggiamenti delle parole. Vuole essere un film sulle emozioni, sulle piccole cose e, soprattutto, su queste paure che ognuno di noi ha: la paura di vivere è la paura di morire".

Veniamo alla parte tecnica: raccontami le riprese…

"Le riprese sono state effettuate i primi tre fine settimana di novembre in Val Calanca, a Bodio-Cauco. Tramite la Fondazione Calanca delle Esploratrici siamo riusciti ad affittare una casa mantenuta esattamente come all’epoca. L’interno è in legno, si può cucinare sul fuoco, c’è il camino e la vecchia stufa di sasso per scaldare l’ambiente. Per agevolare le riprese ed immetterci immediatamente in quell’ambientazione, abbiamo deciso di dormire al suo interno: in qualche modo è stato come fare un salto nel tempo…"

Quante le persone della troupe?

"Coloro che hanno partecipato all’intera lavorazione sono le persone che mi aiutano da sempre, come Antonella Candolfi. Poi c’è Mauro Scaramella, aiuto regista, che, con Demis Ticozzi, ha lavorato anche alla fotografia e, in parte, ha svolto pure la mansione di fonico. Micaela Poretti si è occupata dei costumi. Poi, c’è tutto il cast di attori: tra gli altri, la bravissima Nunzia Zenker, che sembra estrapolata proprio da quel mondo, e Antonella Di Raimondo, che ha un’espressione intensa e sa interpretare magistralmente le volontà del regista".

Chi ha curato le musiche?

"Massimo Bottinelli. Devo dire che ha saputo cogliere pienamente lo spirito malinconico della pellicola".

Per la tua precedente produzione, “Henriette – Ultimo atto” (2014), ti è stato attribuito il Premio grigionese per la cultura (20mila franchi), attraverso il quale hai finanziato “Paure d’autunno”: sarebbe stato difficile, altrimenti, portare a termine il progetto?

"L’avrei girato comunque. Logicamente, e questo lo discutevo anche con Nunzia, avendo un budget più limitato ci saremmo dovuti “ridimensionare”".

Nel corso delle riprese - che hai portato avanti con passione e ostinazione parallelamente a un impiego in ambito bancario - quali le maggiori difficoltà che ti sei ritrovato ad affrontare?

"“Paure d’autunno” è stato girato in tre week-end. Di conseguenza, rispetto agli altri miei film è stato molto più impegnativo. In pratica è stato come se avessi lavorato tre settimane consecutive senza momenti di pausa. A livello tecnico, invece, la più grande difficoltà è stata quella di organizzare le riprese e coordinarle con la preparazione dei piatti: dovevano essere pronti al momento giusto! Il tutto è stato possibile riuscendo a mantenere il fuoco sempre acceso… E questo è accaduto soltanto grazie a Demis…"

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