Commosso intervento al XXIII Congresso del Partito Comunista, riunitosi al palazzo dei Congressi di Lugano
LUGANO - Prima che iniziasse la prima delle due giornate del XXIII° Congresso del Partito Comunista, i presenti hanno reso omaggio a Fidel Castro, il leader maximo della repubblica popolare di Cuba deceduto nella notte all'età di 90 anni.
Durante i lavori è intervenuta Mixaris Gerosa, rappresentante della Comunità Cubana che, commossa, ha preso la parola: «Tranquillizziamo chi festeggia la sua morte: Fidel Castro è morto, ma la rivoluzione no».
Gerosa è stata applaudita dai rappresentanti del popolo locali ed internazionali - tra cui il Segretario del Partito e deputato in Gran Consiglio, Massimiliano Ay, ma anche rappresentanti del Laos e di vari partiti comunisti - dei lavoratori e delle classi subalterne, giunti nel Palazzo dei Congressi di Lugano per partecipare alla due giorni di lavori Congressuali presieduti da Egon Canevascini.
Congresso in cui si discute un documento politico che fa riferimento ad una rivalorizzazione e a una costruzione del concetto di comunità, in contrapposizione ad una polverizzazione della classe lavoratrice che si traduce in una disgregazione sociale, alla quale i comunisti sentono ora la necessità di rispondere con un rinnovato spirito internazionalista, che si distingua dal cosmopolitismo liberal (chic) in cui è finita ampia parte della socialdemocrazia europea.
In questo contesto generale, in una russofobia fomentata dai media occidentali, che rispondono agli interessi imperialisti americani, contrari ad un'Europa troppo vicina ad una unione euro-russo-asiatica, i comunisti propongono nella loro azione politica una Svizzera che si liberi dai diktat della Nato e che assuma un ruolo di ponte tra Oriente e Occidente, aprendo ai paesi emergenti e superando gli schemi delle sovrastrutture imperialiste rappresentate dall'Unione Europea.
UE che sta assistendo a fenomeni migratori che sono causati da uno sviluppo del capitalismo che crea situazioni di povertà e disagio che spingono le persone a spostarsi cercando un futuro migliore. «Checché ne pensi l'idealismo cosmopolita, emigrare non è sostanzialmente mai qualcosa di positivo, è semmai conseguenza di condizioni quadro negative», si legge nella risoluzione contenuta nel documento congressuale. «Il buonismo con cui a sinistra si affronta il fenomeno migratorio è perdente e si limita a un discorso banalmente umanitario e caritatevole, privo di alcuna valenza di classe. Va invece ammesso che il carattere di massa delle migrazioni pone nella realtà problemi sociali che il padronato e la borghesia sfruttano per i loro interessi di classe, in primis permettendo lo svilupparsi di una guerra fra poveri che provoca l'abbassamento delle condizioni di vita per le fasce popolari: dalla ghettizzazione in quartieri abitativi periferici alla diminuzione dei salari, eccetera».
Il Partito Comunista ritiene quindi errato perseguire «l'idealismo no border, che - spesso ingenuamente e in buona fede - arriva a sostenere strutture criminali che organizzano la tratta di essere umani e creano fiumi di sans-papiers nei paesi europei alla mercé di un capitalismo sfruttatore e senza scrupoli. Così come non ha nulla di socialista o comunista adottare le visioni e le idee delle Ong atlantiche (da "Amnesty International" a "Human Rights Watch", senza scordarci "Reporter Sans Frontières", ecc.) Che strumentalizzano i diritti umani in modo unilaterale per giustificare le ingerenze imperialiste dei sovrani».
I Comunisti citano Karl Marx e Friedrich Engels. Essi parlavano dei migranti (e degli inoccupati) come un «esercito industriale di riserva, sfruttando il quale la borghesia poteva spostare a proprio favore i rapporti di forza nel conflitto sociale».