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40 anni dalla morte di Elvis, ma il suo mito è più vivo che mai

STATI UNITI40 anni dalla morte di Elvis, ma il suo mito è più vivo che mai

16.08.17 - 06:01
Il Re continua a valere milioni ed è ritornato attuale come "modello" per l'America di Trump
Keystone / AP
40 anni dalla morte di Elvis, ma il suo mito è più vivo che mai
Il Re continua a valere milioni ed è ritornato attuale come "modello" per l'America di Trump

MEMPHIS - Quarant’anni fa, il 16 agosto 1977, Elvis Presley veniva trovato morto in una delle stanze da bagno della sua faraonica residenza di Memphis, Graceland.

La morte fu dovuta con tutta probabilità a un arresto cardiaco, provocato da un mix fatale di abuso di farmaci e alle conseguenze sul fisico dell’obesità, provocata dalla mole incredibile di cibi grassi e poco salutare che negli ultimi tempi ingeriva quasi senza sosta. La grande confusione che circondò per anni il decesso non fece altro che alimentare una suggestiva leggenda metropolitana, seconda per popolarità solo a quella della presunta morte di Paul McCartney: Elvis in realtà ha simulato il decesso e si è rifatto una vita, in completo anonimato.

Perché, se fosse vero, lo avrebbe fatto? Per sfuggire a un mondo che non lo capiva più e che lo stava portando alla rovina. Sarebbe stato un tentativo estremo per salvarsi la vita, hanno pensato quei fan che non hanno mai accettato la sua morte. Di avvistamenti di Elvis ne sono stati segnalati decine di migliaia, da tutte le parti del mondo, e continuano ad arrivarne ancora oggi. C’è chi ha creduto di riconoscerlo nel commesso di un negozio di televisori, chi nel gestore di una pompa di carburante, chi in un camionista, chi in un senzatetto. Nel 1987 ci fu un vero e proprio boom da una cittadina del Michigan, Kalamazoo, ma ogni riscontro fu negativo e la storia divenne un must per i comici dell’epoca. Si è detto anche che l’Elvis sopravvissuto abbia fatto capolino tra le comparse di “Mamma ho perso l’aereo” durante una scena ambientata in un aeroporto. Il regista del film, Chris Columbus, ha negato tutto.

Il mitico direttore d’orchestra e compositore Leonard Bernstein sosteneva che fosse lui, ancora più di un artista del calibro di Picasso, «la più grande forza culturale del Ventesimo secolo», in quanto «gli anni Sessanta sono arrivati grazie a lui». L’eredità musicale di Elvis e la sua influenza sul costume e la società continuano a essere ben presenti. Anzi, ora più che mai è avvenuta una “riscoperta” da parte dell’America di Trump. Piace agli elettori del tycoon l’epopea di questo uomo comune del Sud passato dalla povertà quasi estrema allo status di Re, che amava Dio, la famiglia e gli Stati Uniti (da conservatore quale era). Piace come piaceva ai democratici (Bill Clinton è un suo grande fan) la sua abilità nel compiere una rivoluzione nel costume, e nell’aver aperto la strada ai musicisti di colore, dei quali portò le canzoni al grande pubblico bianco.

Elvis è anche un affare sicuro: la vendita di oggetti e dischi, e i diritti di sfruttamento dell’immagine hanno toccato nel 2016 una cifra pari a 27 milioni di dollari. Ma è anche una questione di fede, almeno per chi ha aderito alla religione Presleytariana, che venera “Elvis il divino”.

 

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