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Café Society: nell'amore, a capofitto

CINEMACafé Society: nell'amore, a capofitto

29.09.16 - 06:00
Woody Allen torna agli anni ruggenti (e nelle sale) con una commedia romantica retrò girata benissimo e dal magone garantito
Lionsgate
Café Society: nell'amore, a capofitto
Woody Allen torna agli anni ruggenti (e nelle sale) con una commedia romantica retrò girata benissimo e dal magone garantito

LUGANO - Che "Café Society" non è uno dei soliti film che affollano le sale lo si capisce anche solo dalla durata: un'oretta e mezza scarsa (contro le due e rotte che vanno tantissimo). Poi ti siedi e sullo schermo partono i titoli di testa, di quelli belli lunghi su sfondo nero. Ve li ricordate ancora? Se no, non fatevene un cruccio, Hollywood li ha fatti fuori da tempo: troppo noiosi e ammazzano il ritmo. Insomma, roba dei tempi che furono.

Malinconia, portami via - Non proprio una sorpresa, in verità, stiamo pur sempre parlando di Woody Allen. Ma non c'è niente in questo suo ultimo film che abbia l'ambizione di sconvolgere lo spettatore. La volontà, infatti, è quella di tratteggiare (o schizzare), luoghi periodi e sentimenti. È un film malinconico (o melancolico) come già la locandina lascia trasparire: una donna stilizzata in bianco su di uno sfondo nero con una lacrima dorata che le scivola lungo il volto. Non aspettatevi stravolgimenti, colpi di scena, straziamenti profondi e urlati. Come nella scena underground dei "Café" del titolo, tutto quanto, bello o brutto che sia, succede lontano dalla luce del sole in spazi angusti (del cuore, verrebbe da dire).

Il vintage è bello - In questo suo ultimo sforzo, presentato pure quest'anno a Cannes, Allen ritorna ancora una volta alla sua passione smodata per la preistoria del Novecento, fra anni ruggenti, era del jazz e quant'altro. L'occasione è di quelle ghiotte: mettere in scena da una parte la dorata Hollywood di quegli anni, di divi d'altri tempi e dei milioni sfavillanti, e dall'altra la notturna Manhattan dei clubbini in cui, fra un intrallazzo e l'altro, si faceva la storia della musica contemporanea. Insomma luce e ombra, sfarzo e riservatezza, urla e sussurri.

Storia di una storia - Da New York a Los Angeles, il viaggio iniziale di Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg) - giovane ultimogenito di una famiglia ebrea discretamente incasinata - sembra un po' un viaggio della speranza alla ricerca di chissacché. Mandato dalla madre dallo zio Phil (Steve Carrell) che a Hollywood ha "sfondato" in cerca di fortuna, il giovanotto di Manhattan troverà invece l'amore per una segretaria di quest'ultimo, Veronica (Kristen Stewart). Sarà una storia lunga e travagliata, ci sarà un viaggio di ritorno a est (e a "casa") dove tutto sboccerà per davvero a suon di jazz nelle fumose sale della Café Society della Grande Mela. Di più proprio non si può dire per non guastare la visione con i tanti vituperati "spoiler".

Meraviglie di tecnica e attori - Splendidamente (ed è proprio il caso di dirlo) girato dall'occhio vitreo dell'eminenza grigia Vittorio Storaro (quello di "Ultimo tango a Parigi", "Apocalypse Now" e chi più ne ha) il film trova la sua vera forza nel cast e soprattutto nei due protagonisti, anzi verrebbe da dire praticamente quasi solo sulla Stewart. Se da una parte Eisenberg è bravo a vestire i panni dell'alter-Woody - fra nevrosi, balbettamenti, postura e battute folgoranti - ci mette anche del suo, soprattutto quel piglio da seduttore e l'inaspettata baldanza. Dall'altra l'ex-stellina di "Twilight" si dimostra la persona giusta al posto giusto, e si sa che Allen per le sue protagoniste ha da sempre un gran naso. Spesso etichettata come «inespressiva» (o peggio), la Stewart si mostra la gran attrice che non ti aspetti mettendo in piedi (con quel poco che le viene dato a disposizione) un personaggio stratificato, forse più in bilico e in conflitto degli altri. Se loro fra luce o ombra hanno già scelto, lei ancora no.

Quell'amore in cui «ci si casca» - "Café Society" è una storia d'amore, ma non di quelle che vi aspettereste. Racconta un amore che malgrado il "potrebbe" e malgrado le scelte della vita, è sempre lì e brucia più che mai. Quell'amore, forse anche clandestino, nato nelle notti a girare per i baretti  - lontano dal mondo e dall'ordine delle cose - giù fino all'alba che "rompe l'incantesimo". Quell'amore malinconico che è «sogno e solo sogno», usando le parole di Veronica, che va al di là del giudizio e della morale e ragiona con una testa tutta sua. In quel amore «in cui ci si casca», non per scelta, ma perché altrimenti non poteva andare. Forse non sarà all'altezza di altre perle assolute dell'Allen recente - tipo "Midnight in Paris" e "Blue Jasmine" - ma resta una pellicola in grado di colpire nel profondo, divertire e far venire anche un po' di magone.

 

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