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Giovanni Allevi: "I colleghi? Sono poco coraggiosi"

LUGANOGiovanni Allevi: "I colleghi? Sono poco coraggiosi"

04.03.14 - 08:23
In previsione del suo concerto al Palazzo dei Congressi il 19 marzo, Giovanni Allevi si racconta e racconta la sua musica…
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Giovanni Allevi: "I colleghi? Sono poco coraggiosi"
In previsione del suo concerto al Palazzo dei Congressi il 19 marzo, Giovanni Allevi si racconta e racconta la sua musica…

LUGANO - Lo incontro nei pressi della stazione, Giovanni è arrivato da Milano con il treno delle 10.10. Lo riconosco da lontano, d’altra parte la sua chioma e le sue All Star nere sono inconfondibili. Siede al tavolo del bar e chiede una spremuta d’arancia: “È buonissima, tornerei qui a berla tutte le mattine”, mi dice dopo un paio di sorsi.

 

Giovanni, sul palco ci sarai soltanto tu e il pianoforte…

Questo crea un intenso rapporto di vicinanza e condivisione tra me e il pubblico. La dimensione è più intima e questo fattore, in realtà, mi spaventa: è come se sentissi una responsabilità più forte, più pesante…

 

Una paura che immagino nel corso del tempo si sia affievolita, però…

Non direi, anzi… Una volta a trasportarmi era l’incoscienza… Ora, invece, vivo il rapporto con il pubblico e il palco come qualcosa di sacro… Che mi spaventa, ma in maniera positiva, è l’onda emotiva… Oggi credo di avere superato la paura dell’errore e della perfezione, perché, in ogni caso, nessuno è perfetto…

 

Sei molto autocritico?

Ultimamente no… Di critiche me ne sono piovute addosso tantissime e mi sono accorto che il mio amore per la musica è più grande di qualsiasi giudizio… Ho deciso quindi di essere indulgente con me stesso, considerando il fatto che comunque, nelle mie possibilità, tento e tenterò di dare sempre il mio meglio…

 

Dopo un progetto sinfonico, questo Piano Solo Tour potremmo definirlo una necessità?

Questi sono i due poli in cui oscilla la mia vita artistica, la mia espressività. Ora è il momento di tornare a sussurrare e a trovare un contatto profondo con l’anima dell’ascoltatore…

 

Oltre a essere impegnato nel tour, ti trovi per caso nel mezzo del processo di lavorazione del tuo prossimo album?

Scrivo musica perché ne sento l’esigenza... Ma non sto lavorando a un nuovo disco… Come dire, in questo ultimo periodo mi sto distaccando dalle logiche discografiche…

 

Quando scrivi?

Sempre… Anche poco fa… Un attimo prima di incontrarti, per esempio, ragionavo su una nuova composizione sinfonica…

 

Appena troverai un pianoforte metterai questa nuova idea su pentagramma?

No, il pianoforte durante il processo compositvo devo tenerlo lontano… La composizione avviene a mente, soprattutto una composizione che coinvolge un’orchestra sinfonica…

 

Nel corso degli anni come è cambiato il tuo approccio alla scrittura?

Credo di avere conquistato una maggior libertà di espressione… Il pubblico che mi segue da tempo mi manda un unico ed inequivocabile segnale: “Giovanni, sentiti libero di sperimentare, noi ti vogliamo bene…”. Che dire… Sono un privilegiato…

 

Cosa stai ascoltando in questi giorni?

In questo periodo ciò che mi intriga è il silenzio… Viviamo in una bolla musicale talmente piena di stimoli che è davvero difficile trovare il suono della propria anima…

 

E da ragazzo quali erano i tuoi ascolti?

In particolare il melodramma di Puccini, poi i grandi sinfonisti tedeschi, da Strauss a Wagner…

 

Li porti sempre con te, immagino…

Inevitabilmente, qualcosa mi è rimasto, ma devo anche essere un po’ pazzerello e prenderne le distanze, altrimenti si resta schiacciati dalla loro magnificenza… Per questo, la mia musica, con tutta l’umiltà, vuole essere un inno del presente… Non condivido la santificazione del passato fine a sé stessa…

 

C’è qualche tuo collega che segui in modo particolare?

Sinceramente, nei colleghi non vedo un grande coraggio…

 

In quali termini?

Ora apro la ruota del pavone: chi ha il coraggio di mettersi al lavoro su un concerto per violino e orchestra come il mio? È un gesto folle… Oggi si va sul sicuro… Si cerca di scrivere una musica che possa fare da sfondo a delle immagini, oppure che possa entrare in uno standard discografico o radiofonico…

 

Ora raccontami del tuo primo disco, “13 dita” (1997), pubblicato attraverso Soleluna, la label di Jovanotti…

Un’immensa soddisfazione arrivata dopo una lunghissima gavetta… Per sei anni, poi, non è più accaduto nulla. Il mio secondo disco, “Composizioni” (Soleluna), è arrivato nel 2003, ed ha venduto talmente poco che gli addetti ai lavori mi avevano suggerito di lasciar perdere, dicendomi che la mia carriera era finita… In quei momenti ho capito che non possiamo avere tutto subito…

 

Dopo qualcosa è cambiato…

Sì, per fortuna, ma non mi sento arrivato, ho la costante sensazione di trovarmi ancora all’inizio…

 

Tanti stimoli, quindi…

Ma anche ansia, direi…

 

A proposito di ansia… “Joy” (Ricordi/Sony, 2006) è nato a seguito di una brutta esperienza legata a un attacco di panico… Questo è un disturbo molto comune… Tu come sei riuscito a gestirlo?

Non lo gestisco, mi faccio travolgere…

 

In che senso?

Paradossalmente, tutte le cose più belle che ho fatto sono sempre scaturite da un momento di incertezza, da un momento di difficoltà… Allora, forse, è importante accettare la propria debolezza, la propria fragilità…

 

Ti trovavi in un periodo di forte stress?

No, era un periodo bellissimo. Si è trattato di un eccesso di emozioni che si è trasformato in qualcosa di apparentemente negativo…

 

Sai che in Ticino c’è un’ottima offerta legata alla formazione musicale, sia in ambito classico, con il Conservatorio della Svizzera Italiana, sia in ambito jazz, con la Scuola di Musica Moderna… Quali consigli ti senti di fornire ai giovani che vogliono intraprendere il tuo stesso percorso professionale?

Focalizzarsi sullo studio, poiché ci dà i mezzi tecnici per poter esprimere al meglio quella che è la nostra idea musicale… E poi, tenere in considerazione i grandi compositori del passato, ma in funzione del presente, perché noi viviamo in un’epoca che ancora deve essere raccontata…

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