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TICINOMogli maltrattate: o mi lavi i piedi, o ti riempio di botte

08.03.12 - 07:12
Violenza sulle donne, centinaia di segnalazioni ogni anno. Il dramma delle giovani extracomunitarie. Dietro le quinte della Casa della donna di Lugano e di Casa Armònia
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Mogli maltrattate: o mi lavi i piedi, o ti riempio di botte
Violenza sulle donne, centinaia di segnalazioni ogni anno. Il dramma delle giovani extracomunitarie. Dietro le quinte della Casa della donna di Lugano e di Casa Armònia

LUGANO – Un marito violento, che ogni sera obbliga sua moglie a lavargli i piedi, umiliandola. Una giovane donna che una sera decide di dire no. Di provare a fare valere i suoi diritti. E l’uomo che la riempie di botte, sapendo che lei non dirà mai nulla alla polizia. Perché in caso di divorzio dovrebbe lasciare la Svizzera, per paura di dovere abbandonare i suoi due figli. Non è la trama di un crudo romanzo. È cronaca vera e i fatti avvengono a Lugano. E non solo a Lugano, perché i numeri dicono che in Svizzera una donna su quattro è vittima di violenza, fisica, verbale o psicologica. “Cifra enorme – conferma Sonny B., responsabile della Casa delle donne di Lugano –, ma i dati sono rispecchiati anche in Ticino. Solo al nostro consultorio nel 2011 sono arrivate ben 505 telefonate o segnalazioni, se si contano i picchetti arriviamo a 1500. E nella nostra casa abbiamo ospitato 15 donne con i loro figli”.

Rischio espulsione - Nel Sopraceneri la situazione non è migliore. Cornelia S., coordinatrice di Casa Armònia (Locarnese) spiega: “Il nostro consultorio a Bellinzona nel 2011 ha ricevuto 487 chiamate, il centralino di Casa Armònia ben 654. Anche noi abbiamo accolto 15 donne con 14 figli. Il fenomeno della violenza domestica è trasversale e indipendente da ceto, età, provenienza e religione. Noi ospitiamo molte donne straniere, perché hanno meno risorse sul territorio. Non hanno parenti nella regione, spesso non lavorano, a volte non parlano italiano”. Le donne nella posizione più precaria? Ragazze in giovane età, provenienti da Paesi extracomunitari, con scarsa formazione. “Solitamente – riprende Cornelia S. – hanno sposato persone con il passaporto svizzero o con un permesso C. Se si separano dal marito, dunque, rischiano l’espulsione dalla Svizzera”. La legge dice che se il matrimonio è durato almeno tre anni e se c’è una chiara dimostrazione di violenza, la donna non perde il permesso di stare su suolo elvetico. “È una conquista – sottolinea Sonny B. –, ma sovente gli episodi di violenza accadono entro i primi tre anni di matrimonio”. 

Denuncia - Giovani donne paralizzate dalla paura di parlare, spaesate, sole. Cornelia S. puntualizza: “Sporgere denuncia non vuol dire per forza fare una separazione. Significa semplicemente fare in modo che qualcuno intervenga. Queste donne si facciano avanti con noi o con la polizia, senza timori”. “A bloccarle – aggiunge Sonny B. – in molti casi è soprattutto il fatto di non sapere cosa ne sarà dei figli in caso di divorzio e di espulsione dal Paese. Non dimentichiamo poi che per certe culture i figli sono di ‘proprietà’ del padre. Le donne da questo punto di vista sono molto ricattabili dai mariti violenti”. 

Coraggio - C’è però anche chi ha il coraggio di abbatterlo, il muro del silenzio. A Casa Armònia e alla Casa della donna di Lugano sono diverse le donne coraggiose. “Ci chiamano quando non ce la fanno più – fa notare Cornelia S. –, c’è chi non ha bisogno di venire qui. Altre si trasferiscono per alcuni giorni, in attesa di trovare una soluzione. C’è anche chi resta più a lungo, lo scorso anno 2 donne sono rimaste da noi per oltre 100 giorni”. 

Non solo straniere - Non sono solo le donne straniere provenienti da nazioni extracomunitarie a trovarsi in simili difficoltà. “Ci sono anche donne europee – ammette Sonny B. – e pure diverse svizzere. Sulle 505 chiamate giunte al consultorio nel 2011, 236 riguardavano donne con passaporto rossocrociato. Delle 15 che abbiamo ospitato, 8 erano svizzere. È chiaro che le donne svizzere hanno più risorse, più contatti, più conoscenze e sono meno ricattabili. Non per questo però sono meno soggette alla violenza. A tutte queste donne, vanno aggiunte quelle che non trovano la forza di impugnare il proprio destino o quelle che, grazie a conoscenti, trovano soluzioni alternative. Il quadro, insomma, è inquietante”.

Patrick Mancini


 

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