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SOCIOLOGIAL'immigrazione islamica in Europa

28.09.11 - 16:00
Minaccia o opportunità?
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L'immigrazione islamica in Europa
Minaccia o opportunità?

Ormai il tema dell’immigrazione è divenuto uno dei temi più dibattuti dall’opinione pubblica europea, la quale si divide in due fazioni contrapposte: da una parte ci sono gli ideologi multi-culturalisti e dall’altra i loro oppositori, definiti comunemente xenofobi e razzisti.

In Svizzera, il dibattito sulle implicazioni dell’immigrazione islamica, ha avuto il suo apice con la votazione popolare sull’iniziativa sul divieto di costruzione di nuovi minareti, che ha permesso di estendere le discussioni con un grado di capillarità mai visto prima.
Anche in questo blog, il tema è stato ampiamente dibattuto e continua tuttora, anche se con un grado di conoscenza specifico, che resta piuttosto superficiale.

Per cercare di dare un contributo informativo un po’ più dettagliato, propongo questo articolo che ha l’obiettivo di fornire cifre, fatti e analisi relative a un contesto prettamente europeo, che consenta ai lettori di estendere la conoscenza del fenomeno dell’immigrazione islamica a paesi esterni alla regione italofona, ma che comunque fanno parte di una realtà tipicamente europea.

Prima di illustrare la situazione nei vari paesi, comincio con un paio di curiosità storiche che, se lette oggi, sembrano tanto delle profezie.

Hilaire Belloc, scrittore ed intellettuale britannico, ebbe a scrivere nel lontano 1938:
"Gli occidentali hanno dimenticato tutto dell'islam. Non sono mai venuti in contatto con esso. Danno per scontato che sia ormai in declino e che in ogni caso sia solo una religione straniera che non li riguarda. In realtà, è il nemico più formidabile e persistente che la nostra civiltà abbia mai conosciuto, e da un momento all'altro potrebbe ridiventare minaccioso come in passato. Ho sempre reputato possibile, e persino probabile, una rinascita dell'islam, prima o poi, e temo che un giorno i nostri figli o nipoti vedranno rinnovarsi il tremendo conflitto tra la cultura cristiana e quella che per più di un millennio è stata la sua grande antagonista."

Ancora prima di Belloc, nel 1883, Ernest Renan, filosofo, filologo, storico delle religioni e scrittore francese, scrisse:
Quei liberali che difendono l'islam non lo conoscono. L’islam è l'unione inscindibile tra spirituale e temporale, è il regno di un dogma, la catena più pesante che l'umanità abbia mai portato. Nella prima metà del medioevo, l'islam tollerò la filosofia perché non era in grado di fermarla; non poté fermarla perché non possedeva ancora l'unità e la forza necessarie a seminare il terrore. Non appena ebbe a disposizione masse di fedeli ardenti, fece terra bruciata. Il terrore religioso e l'ipocrisia erano ordinaria amministrazione. L'islam è stato liberale nei momenti di debolezza e violento nei momenti di forza. Non rendiamogli onore per quello che non è stato in grado di sopprimere.

Questi due interventi, già dimostrano una cosa: la percezione dell’islam quale minaccia per la civiltà Occidentale, non è nata solo dopo l’11 settembre 2001, bensì risale a molto tempo prima. Anche perché l’islam non è mai cambiato nel corso dei suoi 1'400 anni di storia.

Se ancor prima dell’11 settembre 2001 c’erano già voci critiche nei confronti dell’islam, esistevano anche ammiratori della civiltà musulmana, tra i quali Goethe e Carlyle, che tendevano a sottolinearne i pregi.
Questa corrente di pensiero non si è mai sopita ed è divenuta, fino a qualche anno fa, quella maggioritaria, al punto che si veniva spesso indotti a pensare che l'Europa avrebbe dovuto essere riconoscente all'islam per la sua secolare ostilità nei nostri confronti.

Il sociologo tedesco di origine siriana Bassam Tibi, che tra gli studiosi dell’attuale generazione è senza dubbio il più ossequioso nei confronti dell’islam, scrive: «Senza la slitta dell'islam, l'Occidente cristiano di Carlo Magno non sarebbe mai esistito».

L'antropologo di Cambridge Jack Goody, inoltre, individua nella secolare ostilità, non tanto una serie di battaglie, quanto piuttosto una serie di «incontri».

L'influenza del mondo musulmano sulla farmacologia e sulla poesia e la conservazione di molte opere di filosofi greci durante il medioevo, interessano Goody quanto le sue conquiste militari e i suoi massacri.

Tuttavia, negli ultimi tempi, si è assistito ad una presa di coscienza da parte di un’ampia schiera di popolazione europea e molte persone hanno cominciato a pensare che, se negli anni ‘50 e ‘60, epoca in cui cominciarono ad arrivare migranti dalla Turchia, dall'Algeria e da altri paesi, gli europei avessero saputo che mezzo secolo più tardi nel loro continente ci sarebbero state migliaia di moschee, sommosse e violenza, non avrebbero mai permesso che ciò accadesse.

Ma vediamo i fattori hanno provocato una presa di coscienza da parte di molti cittadini europei.

Immigrazione e fertilità islamica
In Europa ci sono circa 20 milioni di musulmani, contando anche i milioni di musulmani nativi dei Balcani.
Le maggiori concentrazioni sono in Francia 5 milioni, in Germania 4 milioni e in Gran Bretagna 2 milioni.
In Inghilterra predominano i pakistani e i bengalesi; in Francia, Belgio e Spagna sono più numerosi gli arabi; in Germania i turchi; ma in tutti i paesi europei, l'islam è fondamentalmente un miscuglio di persone provenienti da tutto il mondo musulmano.
La forte concentrazione di queste popolazioni potrebbe finire per moltiplicare la loro influenza. Oggi a Londra vivono 1 milione di musulmani, ossia un ottavo della popolazione.
Ad Amsterdam, i musulmani costituiscono più di un terzo dei credenti, superando i cattolici nonché tutte le varie confessioni protestanti messe insieme.

I musulmani dominano o mirano a dominare alcune importanti città europee, tra cui, per esempio, Amsterdam e Rotterdam in Olanda; Strasburgo e Marsiglia (e molti sobborghi parigini) in Francia; Duisburg, Colonia e i quartieri berlinesi di Kreuzberg e Neukölln in Germania; Blackburn, Bradford, Dewsbury, Leicester, East London e la periferia di Manchester in Inghilterra.
Questi luoghi, dato che l'immigrazione non si ferma e il potere elettorale e la consapevolezza politica dei musulmani aumentano, hanno un carattere sempre più marcatamente musulmano.

Un sondaggio condotto in Germania nel 2007 poneva la seguente domanda: «Quando sente la parola "islam", che cosa le viene in mente?». Il 93% rispose «oppressione delle donne»; l'83% «terrorismo»; l'82% «estremismo».
Dopo 1’400 anni di conflitti, le prime generazioni europee a non vedere l'islam come una minaccia, furono evidentemente anche le ultime.

Il National Intelligence Council degli Stati Uniti, prevede che entro il 2025 la popolazione musulmana d'Europa raddoppierà in misura uniforme in tutto il continente.

Ma non è solo l'immigrazione a causare l'aumento della presenza islamica in Europa, bensì anche la maggiore fertilità degli immigrati rispetto ai nativi e questo riguarda soprattutto i musulmani.
La religiosità, è l'indicatore di fertilità più attendibile. Osservando il caso britannico, il sociologo Eric Kaufmann, ha notato che i caraibici e gli slavi hanno rapidamente adottato lo stile di vita laico (e il basso tasso di natalità) della società britannica, mentre la seconda generazione di musulmani bengalesi e pakistani ha mantenuto suppergiù le stesse abitudini religiose (e lo stesso tasso di fecondità) della generazione precedente.
Nel 1991 a Birmingham i pakistani erano il 7,1% della popolazione. Si calcola che entro il 2026 saranno il 21%, ossia quasi il triplo.
Il Barrow Cadbury Trust, ente che ha raccolto i dati, sottolinea come «l'aumento sarà probabilmente causato sopratutto dalla popolazione giovane già residente a Birmingham, piuttosto che dall'immigrazione».

L'Austria offre un buon esempio per studiare i divari di crescita demografica tra nativi e stranieri. Essa ha avuto una forte immigrazione non europea ed è fra i pochi a censire anche la religione dei residenti.
In Austria, il tasso di fertilità totale delle cattoliche è di 1,32 bambini per donna. Il dato scende a 1,21 per le protestanti e allo 0,86 per le laiche. Il tasso complessivo di fertilità delle musulmane è di 2,34.

Tale divario può sembrare poco significativo - in fin dei conti, nel periodo del boom demografico in America si registravano livelli ancora più alti - ma i suoi effetti crescono rapidamente.
Secondo quattro studiosi dell'Istituto demografico di Vienna, entro la metà del secolo, l'islam potrebbe essere la confessione religiosa predominante tra i cittadini sotto i 15 anni; i cattolici austriaci, che nel XX secolo costituivano il 90% della popolazione, entro la metà del XXI potrebbero scendere sotto il 50%.

In Belgio, la comunità marocchino-belga ha un tasso di natalità due volte e mezzo più alto rispetto alla popolazione nativa.
A Bruxelles, i cui residenti sono per un quarto cittadini stranieri, più di metà dei bambini (57%) nati nel 2006, erano figli di musulmani, e i sette nomi più comuni fra i maschietti erano: Mohamed, Adam, Rayan, Ayoub, Mehdi, Amine e Hamza.

Auto isolamento e auto segregazione islamica
Nel 2005 Trevor Phillips, presidente della Commission for Racial Equality, dichiarò che la Gran Bretagna «si stava inconsapevolmente avviando verso la segregazione».
Questa tendenza all'isolamento riguardava soprattutto pakistani e bengalesi. Phillips osservò che il numero di cittadini britannici di origine pakistana che viveva in autentici «ghetti» - luoghi in cui almeno due terzi dei residenti appartengono a un gruppo etnico specifico - era triplicato nel corso degli anni ‘90.
In alcune città britanniche, come Bradford e Leicester, quasi il 15% del campione considerato risiedeva in ghetti, percentuale paragonabile a quella dei neri in città come Miami e Chicago, che non sono certo modelli di relazioni interrazziali.
«Alcune minoranze si trasferiscono in zone medio-borghesi a minore concentrazione etnica», disse Phillips, «ma chi rimane tende a rinchiudersi ulteriormente.»

Quando un quartiere della periferia orientale di Helsinki (tra le capitali europee che hanno conosciuto meno immigrazione) si riempì così tanto di somali da guadagnarsi l'appellativo di «Via Mogadiscio», la giunta comunale propose la costruzione di abitazioni di lusso nella zona.
La presenza di persone facoltose, tuttavia, non attenuò l'isolamento e la disoccupazione dei somali. Non fece altro che sostituire la segregazione tra quartieri con la segregazione all'interno dei quartieri.

Il quartiere residenziale di Rosengard, nella periferia di Malmö, si trasformò con una velocità straordinaria.
Il 90% delle donne portava il velo (persino quelle che prima di arrivare in Svezia non lo indossavano e le loro figlie nate in Svezia).
Rosengard non era un luogo pericoloso sul piano della criminalità e del consumo di stupefacenti, almeno non in prima battuta. Ma era inquietante dal punto di vista politico, perché era diventato un luogo assolutamente non svedese. Nel dicembre del 2008 ci furono gravi sommosse, con tanto di molotov e bombe artigianali.

In occasione di un convegno di esperti di migrazioni tenutosi in Italia nell'estate del 2006, alcuni mesi prima che scoppiassero le rivolte in Francia, un ministro europeo pronunciò ufficiosamente una diagnosi sconfortante. Aveva parlato delle prospettive d’integrazione degli immigrati con un collega di un paese dove l'immigrazione di massa era un fenomeno più antico. «Era molto pessimista», disse il ministro. «Secondo la sua esperienza, nei quartieri difficili la seconda generazione è peggiore della prima e la terza ancora peggiore della seconda.»

Nel 2004 i Renseignements Généraux, i servizi segreti francesi, condussero un'indagine su centinaia di quartieri a forte presenza musulmana, riscontrando una ghettizzazione di carattere religioso in metà di essi.

Nel 2005 il giornalista inglese Rod Liddle vide delinearsi un primo abbozzo di stato musulmano in Europa. Scrisse che c'erano già diverse «città e metropoli, da Rennes, al Sud, passando per Lilla, Bruxelles, Anversa, Zeebrugge, Rotterdam, Brema, fino ad Aarhus, in Danimarca, all'estremo Nord, dove la popolazione musulmana si avvicina o supera il 20% del totale (e in alcuni casi costituisce addirittura la maggioranza)».

Nel 2002 un inmam di Roubaix, in Francia, si rifiutò di incontrare Martine Aubry, sindaco di Lille ed ex ministro del Lavoro, nel proprio quartiere, dicendo che era territorio musulmano e che sarebbe stato haram (impuro) accoglierla proprio lì.

Ad Aubervilliers, paesino appena a nord della Parigi périphérique (ormai così densamente popolato da nordafricani e musulmani che molti bambini il venerdì stanno a casa da scuola per prepararsi alle preghiere), il consiglio comunale decise di introdurre nelle piscine pubbliche orari per soli uomini o sole donne, in ossequio al pudore delle donne musulmane.

Nella città di Dreux, in Normandia, e anche in Danimarca, scoppiò un putifèrio perché nelle mense scolastiche non veniva servita carne halal.

A mezzo secolo dall'inizio dell'immigrazione turca in Germania - osservò l'etnografo turco-tedesco Rauf Ceylan - nei caffè, nelle moschee e nei negozi di parrucchieri di Neufeld, vicino a Duisburg, tutti continuavano a parlare turco, persino i giovani nati in Germania.
I locali frequentati dagli uomini erano divisi per appartenenza politica, e la politica che li divideva era quella della Turchia, non della Germania.

Violenza, criminalità e rivolte islamiste
La violenza dei quartieri musulmani era forse l'ostacolo principale sulla via dell'integrazione e dell'inserimento sociale. Gli immigrati erano responsabili di una notevole parte dei crimini commessi in tutti i paesi europei, e in alcuni di questi addirittura della maggior parte.

Il 26% dei detenuti nelle carceri svedesi è costituito da cittadini stranieri.
Tra coloro che devono scontare pene più lunghe di 5 anni - inflitte in Svezia solo per crimini gravi come traffico di droga, omicidio e stupro - all'incirca la metà è composta da cittadini stranieri, escludendo i nati all'estero divenuti svedesi.
Fra gli immigrati, i musulmani sono particolarmente inclini alla violenza. Secondo il sociologo Farhad Khosrokhavar, l'islam è ormai «probabilmente la prima religione nelle prigioni francesi ».

Benché sia difficile stabilire cifre precise, i musulmani costituiscono il 50% dei detenuti in molte carceri francesi, e fino all'80% in quelle ubicate nei pressi delle banlieues.
Nel 2005 c'erano stati duecento casi di rivolte isolate in vari luoghi della Francia.

Chi erano i rivoltosi?
Erano forse ammiratori della cultura maggioritaria francese, frustrati dalla propria impossibilità di accedervi su un piano di parità?

Oppure aspiravano a distruggere una società che disprezzavano, per la sua ipocrisia e la sua debolezza?

A distanza di anni, l'opinione pubblica francese non aveva trovato il minimo accordo neppure sui motivi delle rivolte.
Nelle discussioni politiche o sui media si tendeva ad afferrare la prima spiegazione disponibile: le rivolte nei quartieri poveri erano solo una risposta al razzismo ufficiale e a qualche forma di esclusione.
Non era chiaro, tuttavia, in quali modi questo presunto razzismo si fosse concretizzato.
Le spiegazioni erano fondamentalmente due. La prima era che le autorità francesi trascuravano le banlieues, ipotesi improbabile in un paese che stanziava l'1,9% del PIL per le case popolari.
La seconda era la violenza e la brutalità della polizia, ancora meno probabile.
Centinaia di video girati durante le rivolte del 2005 rivelarono ben pochi casi di eccesso di zelo, e ancor meno di violenze gratuite da parte delle forze dell'ordine.
In centinaia di migliaia di ore lavorative passate ad arginare le violenze e le devastazioni, non è stato ucciso un solo ragazzo islamico riottoso.

Le accuse alla polizia avevano un che di convenzionale. Il magistrato di sinistra Jean de Maillard, dopo l'ennesima ondata di rivolte nel dicembre del 2007, sorprendentemente disse che alcune banlieues erano diventate zone di non-diritto, e non perché la polizia fosse più debole sul piano militare, bensì perché i residenti resistevano a qualsiasi intervento della polizia, anche il più moderato.
Pensare di poter placare i ghetti con interventi più morbidi da parte delle forze dell'ordine era una pia illusione. Srisse de Maillard:
non si possono utilizzare i vigili urbani in una società tanto malata e lacerata e i cui membri si ribellano apertamente contro di essa. La polizia è un mezzo, non un fine. [...] La polizia non è più considerata legittima in queste banlieues [...] e non può più esercitare il minimo controllo senza provocare rivolte ed essere tacciata di razzismo.

Che la polizia fosse divenuta più violenta e brutale era improbabile, mentre era indubbio che le strade della Francia fossero divenute più pericolose.
Nel 2002 le statistiche dell'Unione Europea rivelarono che in Francia si registravano annualmente 4’244 reati ogni 100’000 residenti, dato superiore persino ai tanto disprezzati Stati Uniti».
Probabilmente non è stato un caso se proprio nel 2002 il Fronte Nazionale di Jean-Marie Le Pen, partito dichiaratamente di destra, è riuscito a raggiungere il ballottaggio alle elezioni presidenziali, scalzando i socialisti come secondo partito.

Tenendo conto dell'origine nordafricana di buona parte degl’immigrati francesi, della presenza militare occidentale in Iraq e in Afghanistan e della paura del terrorismo jihadista diffusa in tutti i paesi europei, era naturale chiedersi se i rivoltosi non stessero imboccando la strada del fondamentalismo islamico di stampo palestinese.

Nel 1995 dalle banlieues francesi era partita un'ondata di attentati islamisti.

Khaled Kelkal, un giovane simpatizzante del Gruppo islamico armato (GIA) algerino proveniente dal quartiere lionese di Vaulx-en-Velin, aveva messo una bomba su un treno a Parigi e in una scuola ebraica di Lione.
Al momento delle rivolte del 2005, altri lionesi furono deportati a Guantanamo perché sospettati di terrorismo e legami con al-Qaeda.

L'islam sembrava rivestire un'importanza centrale per i ribelli. Il 31 ottobre 2005 le sommosse, che pure parevano ormai alla fine, tornarono a divampare in seguito all'esplosione di una bomba lacrimogena vicino a una moschea di Clichy, che fu interpretata come una provocazione.
Nel tentativo di pacificare gli animi, la polizia chiese addirittura scusa ai leader musulmani e a quanto pare, su richiesta degli imam locali, si ritirò persino dai quartieri.
Ovunque, a Clichy, si sentiva invocare: «Allah akhbar!».

All’inizio del 2007 Angelo Hoekelet, immigrato congolese trentaduenne senza fissa dimora con lunghi trascorsi penali, aggredì due agenti che l'avevano fermato alla Gare du Nord di Parigi perché viaggiava senza biglietto.
Hoekelet si mise a urlare per chiedere aiuto, e decine - e alla fine centinaia - di giovani si radunarono urlando e intonando slogan, galvanizzati da racconti ingigantiti trasmessi di cellulare in cellulare.
Ne seguì una rivolta che durò fino a notte fonda, tra incendi, saccheggi, vetrine infrante e cartelloni pubblicitari distrutti da giovani armati di spranghe. I rivoltosi intendevano attaccare la Francia e i suoi simboli: «Nell'istante in cui un agente o poliziotto ferma qualcuno», dichiarò un leader sindacale della polizia dopo l'episodio, «la folla non cerca di capire che cosa stia succedendo e se la prende con l'uniforme».
Quando Hoekelet fu arrestato, qualcuno tra la foIla prese a urlare, come era ormai normale in simili circostanze: «Nique la France!» («In culo alla Francia!»).

Le rivolte continuarono a dilagare. Milioni di francesi della classe media che fino al 2005 avevano sostenuto politiche di tolleranza nei confronti delle banlieues, finirono per invocare l'assunzione di poteri speciali da parte dei governi.
Centinaia di giovani che appena prima delle rivolte dei ghetti non erano in grado di preparare bombe molotov, si distinsero come esperti leader paramilitari.

Negli ultimi giorni del 2007, a Villiers-le-Bel, tra le comunità che due anni prima erano rimaste relativamente tranquille, un marocchino quindicenne di nome Moishin Souhelli e il suo amico senegalese Larami Samoura, di 16 anni, mentre viaggiavano a settanta chilometri orari a bordo di un motorino andarono a schiantarsi contro un'auto della polizia e rimasero uccisi.
Stavolta gli scontri raggiunsero l'apice della violenza in sole 48 ore. Nel giro di una notte furono incendiate 138 auto e feriti 82 poliziotti, molti per mezzo di armi da fuoco.
Il giorno seguente, per riportare l'ordine nel quartiere fu necessario il dispiego di 1’000 poliziotti pesantemente armati. «Qui vivono intere popolazioni che non sentono più di appartenere a questo paese», disse lo sconfortato socialista francese Malek Boutih, segretario per le Questioni sociali ed ex presidente di SOS razzismo.
Aggiunse che la violenza era in aumento e che avrebbe continuato ad aumentare.
L'elemento nuovo e inquietante emerso a \/illiers-le-Bel, fu che i residenti erano pronti allo scontro con le autorità già prima che i due ragazzini andassero a schiantarsi con il motorino.
Avevano accumulato scorte di benzina, e utilizzavano walkie-talkie per tenersi informati sui movimenti della polizia.

Conclusione
Alla luce di quanto riportato finora, sembra abbastanza evidente che, alla domanda posta nel titolo, si debba rispondere che l’immigrazione islamica in Europa rappresenta una vera e propria minaccia.
D’altronde, nel febbraio di quest’anno, diversi leader europei, tra i quali David Cameron e Angela Merkel, hanno laconicamente decretato il fallimento del multiculturalismo.

A sostenere il multiculturalismo a oltranza, restano solo gli irriducibili fautori dell’islamizzazione a tutti i costi, ben rappresentati nelle ideologie dell’estrema sinistra e dell’estrema destra antisemita.
C’è solo da sperare che, questi ideologi estremisti, appoggiati dall’islamismo, non provochino disordini ancora più cruenti di quelli a cui abbiamo assistito finora.

Fonti:
- Islam ed Europa, Jack Goody
- A Union of a Certain Age, Nicholas Eberstadt
- Sleepwalking to segregation, Trevor Phillips
- Une mosquée à Munich, Ian Johnson
- Reflection on the Revolution in Europe, Christopher Caldwell!>

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