Unia denuncia il caso della C.E.A. dove «gli operai si spaccano la schiena per una decina di euro l'ora»
RANCATE - Uno «sfruttamento legale». È quanto Unia denuncia inserendo nella Black list il caso della C.E.A. Construction Eclairages Automobiles SA (C.E.A. SA) di Rancate. «Una ditta che non infrange nessuna legge, si limita a sfruttare fino in fondo i “vantaggi comparativi” offerti dalla piazza economica elvetica», sottolinea il sindacato.
La C.E.A. produce (e progetta) componenti per la sicurezza e l’illuminazione di trattori, rimorchi, camion, autovetture e veicoli industriali. Fra i suoi clienti annovera case automobilistiche come Renault e Volvo. A capo delle società c'è Mario Ferdinando Bellù, presidente, e Michele Bellù, delegato, residenti a Gentilino. Un'azienda, insomma, che - a quanto scrive il sindacato -, sembra andare molto bene, «a tal punto che hanno richiesto alla Segreteria di Stato all’Economia (SECO) il permesso per il lavoro notturno fino a fine maggio 2017, potendo così organizzare la produzione su ben 3 turni». È dal almeno il 1996 che la ditta richiede tale permesso, «segno che gli affari vanno a gonfie vele», insinua Unia.
«Spaccarsi la schiena per una decina di euro l’ora» - Per quanto riguarda la C.E.A. il sindacato spiega di avere notato una tendenza «preoccupante e in continua (negativa) evoluzione». In primis dal punto di vista salariale: se fino al 1 gennaio 2015, la ditta offriva (per la funzione di operaia) 11,70 franchi lordi che diventavano 12,10 dopo il periodo di prova, successivamente, «approfittando della fine della soglia minima del cambio», il salario è passato in euro e diventato di 10,10 euro l'ora.
«Un furto - segnala Unia -, come è stato sanzionato in una recente decisione della Camera civile dei reclami del Tribunale d’Appello. Se calcoliamo che il tasso medio del 2015 è stato dello 0,941 (calcolato al 28 di ogni mese), il salario orario delle nostre operaie sarebbe stato di 2’152,40 euro e non 1907. Una differenza non disprezzabile di 245 € mensili».
Per le operaie assunte a partire da queste data, inoltre, il salario orario è stato portato a 11 euro lordi l’ora. Un aumento? Non sembrerebbe visto che, come segnala il sindacato, da un contratto firmato a novembre 2015 spariscono la tredicesima mensilità e l’assicurazione collettiva aziendale contro la perdita di salario in caso di malattia.
Il sistema della "scala bernese" - La neoassunta è sottoposta al sistema “della scala bernese”, che però non si applica ai rapporti di lavoro di una durata inferiore ai 3 mesi. «I padroni Bellù non devono pagare un franco di salario per malattia alle loro operaie e ai loro operai con contratti di durata determinata non superiore ai 3 mesi», sottolinea Unia. Ma non ci sarebbe vita facile nemmeno per un contratto più lungo. Per un rapporto di lavoro la cui durata si colloca fra i 3 e i 12 mesi, il padrone deve garantire il pagamento del salario per al massimo 3 settimane, contro un massimo di 720 giorni compresi nell’arco di 900 giorni consecutivi nel caso di un’assicurazione malattia collettiva.
«Andiamo avanti così?» - Unia punta il dito contro un Mendrisiotto «fortemente colonizzato da questo genere d’imprese che vivono e prosperano solo succhiando letteralmente il sangue a una forza lavoro frontaliera resa ancora più precaria dalla crisi economica che sferza l’Italia da ormai troppo tempo».
Il sindacato si rivolge infine all’onorevole Christian Vitta chiedendogli di esprimersi sul caso concreto appena esposto: «come si fa a coniugare sviluppo economico, progresso sociale, creazione di posti di lavoro interessanti, responsabilità sociale delle imprese, con un’impresa come la C.E.A. SA che ci riporta dritti dritti in una realtà di fine ‘800?».