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CANTONEFinì in coma e morì, confermate le condanne ai sanitari

30.10.14 - 10:54
Le pene a carico dell'infermiere e della dottoressa medico assistente sono state ridotte in appello
Finì in coma e morì, confermate le condanne ai sanitari
Le pene a carico dell'infermiere e della dottoressa medico assistente sono state ridotte in appello

BELLINZONA - Sono state confermate, dalla Corte di appello e di revisione penale (CARP), composta dai giudici Damiano Stefani, presidente, Emanuela Epiney-Colombo e Angelo Olgiati, le condanne a carico di un infermiere e di una dottoressa medico assistente dell’Ospedale Italiano.

La sentenza è datata 27 ottobre. Rispetto al primo processo l’infermiere è stato condannato a una pena di 40 aliquote giornaliere, sospesa condizionalmente per un periodo di due anni, ed il medico ad una di 30 aliquote giornaliere, pure sospesa condizionalmente per due anni.

I due erano stati condannati il 18 marzo 2013 dalla Pretura penale per omicidio colposo, ad una pena di 80, rispettivamente 60 aliquote giornaliere sospesa condizionalmente per due anni, per dei fatti avvenuti la notte tra il 6 e 7 aprile 2006, a seguito dei quali un cittadino iracheno è dapprima caduto in uno stato di coma vegetativo e poi, il 9 gennaio 2007, è morto.

Dopo aver vagliato le posizioni dei due accusati , difesi dagli avvocati Luca Marcellini (per l’infermiere) e Daniel Ponti (per la dottoressa), la Corte ha deciso di confermare di principio le due condanne, avendo accertato una negligenza di entrambi nella cura della vittima.

Le ragioni della condanna - L’infermiere è stato ritenuto responsabile per avere prescritto e somministrato al paziente degente nella camera di cure continue della quale era quella notte responsabile, di sua iniziativa e senza essere stato preventivamente autorizzato da un medico, a partire dalle 23:15 (ed aumentando gradualmente i quantitativi sino a raggiungere i 100 mg/h già molto prima della mezzanotte) del Propofolo al fine di calmarne la forte agitazione.

"Con questo suo agire" rileva la Corte "l’infermiere ha violato i dettami della scienza medica, che prevede e prevedeva già allora, imperativamente, che i medicinali di quel tipo venissero prescritti solo da medici formati e che il farmaco utilizzato fosse impiegato esclusivamente come anestetico e non certamente come calmante per situazioni come quella del caso specifico".

Inoltre, quando ha prescritto e somministrato il Propofolo, l’infermiere non aveva nemmeno tenuto debito conto del fatto che il paziente era stato ricoverato per una sospetta intossicazione da abuso di benzodiazepine e che aveva già manifestato preoccupanti segnali di difficoltà respiratorie. La sua negligenza è risultata essere ancor maggiore, aggiungono i giudici, tenuto conto che il paziente, contrariamente a quanto previsto dal compendio svizzero dei farmaci e dal produttore, non era intubato, e che l’infermiere non poteva garantire una sorveglianza diretta e personale continua, essendo da solo.

Negligenza - "Egli è pure stato ritenuto negligente per essersi allontanato dalla stanza di cure continue per andare ad aiutare una collega che doveva riposizionare un paziente plegico che si trovava in un'altra camera. Proprio durante questa sua assenza, tra la 01:35 e la 01:45, la vittima ha subito un arresto respiratorio, che ha comportato un mancato apporto di ossigeno al cervello, a seguito del quale egli è entrato in coma". Nel considerare la colpa dell’infermiere, rileva ancora la Corte, ha giocato un ruolo importante anche il fatto che fosse notorio che uno dei pericoli derivanti dall’uso del Propofolo era proprio quello dell’insorgere di gravi depressioni cardio circolatorie.

L’accusato è per contro stato scagionato dall’imputazione di aver allertato in ritardo l’allarme REA, poiché "non è stato ritenuto dimostrato il nesso di causalità con l’infausto evento".

"Colpevole di omicidio colposo" - La dottoressa, medico assistente entrato in servizio alle 24:00 della notte tra il 6 ed il 7 aprile 2006, è stata invece ritenuta colpevole di omicidio colposo poiché, su richiesta dell’infermiere, ha prescritto al paziente il Propofolo fino ad un quantitativo di 100 mg/h, "pur conoscendone i rischi, senza che ve ne fossero le basi scientifiche e, soprattutto, senza fare i dovuti approfondimenti".

Nella commisurazione delle pene, oltre alla colpa dei due imputati, è stato tenuto conto del contesto nel quale hanno agito e del fatto che il Propofolo venisse a quel tempo utilizzato nella struttura ospedaliera luganese anche per dei fini analoghi a quello perseguito nel caso concreto, non previsti dal compendio e dalla dottrina medica.

Pene ridotte - Le pene inflitte ai condannati sono state ridotte poiché, oltre al lungo tempo trascorso dal reato (la sentenza motivata di primo grado è stata intimata alle parti dopo i termini di prescrizione del reato, mentre il dibattimento ha avuto luogo poche settimane prima della prescrizione stessa) nel trattare questo caso vi è stata una palese e grave violazione del principio di celerità da parte dell’autorità inquirente.

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