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BELLINZONAYasin, consegnate 2.312 firme

14.02.14 - 15:45
Domani la manifestazione di solidarietà
Foto Tipress / Carlo Reguzzi
Yasin, consegnate 2.312 firme
Domani la manifestazione di solidarietà

BELLINZONA - Sono carichi di speranza gli animi degli amici di Yasin che oggi si sono recati alla Cancelleria dello Stato del Canton Ticino a Bellinzona per consegnare una petizione che chiede alle autorità cantonali il rilascio di un permesso di soggiorno per Yasin Rahamny.

Al 23enne iraniano di etnia curda non è stato concesso lo statuto di rifugiato politico e ora deve lasciare la Svizzera entro il 21 febbraio, nonostante abbia un lavoro a tempo determinato e si sia rifatto una vita in Svizzera.

Le firme raccolte sono state 2.312 e domani è prevista un corteo di solidarietà che si snoderà dalla Posta di Bellinzona a Piazza Governo.

Appello di solidarietà per Yasin Rahmany

«Yasin Rahmany merita senza dubbio di continuare a risiedere nel Ticino, dove si è formato con degli ottimi risultati scolastici e dove è attivo professionalmente con un contratto a tempo indeterminato, che testimonia l’apprezzamento nei suoi confronti da parte del proprio datore di lavoro. La lentezza con cui le autorità federali hanno trattato il suo caso, rifiutando la sua domanda di asilo dopo quattro anni da quando fu depositata, è un ulteriore motivo, sul piano morale prima che a livello giuridico, a supporto della richiesta di Yasin Rahmany di poter restare in Svizzera, un Paese che egli onora con il proprio lavoro e nel quale ha dimostrato di essersi bene integrato.»

Sergio Rossi, professore ordinario di economia nell’Università di Friburgo (Svizzera)

 

“Che Yasin sia considerato un rifugiato economico o un migrante economico, non cambia la sostanza delle cose: per me ogni persona che desidera vivere in Svizzera, che qui si è integrato sviluppando delle amicizie, diplomandosi e contribuendo anche al benessere economico della collettività, dovrebbe avere il diritto di disporre di un permesso. Non esistono esseri umani illegali e dobbiamo anzi favorire l’amicizia e la cooperazione fra i popoli.”

Massimiliano Ay, segretario politico del Partito Comunista della Svizzera Italiana e consigliere comunale di Bellinzona

 

“Situazioni come quella di Yasin sono il risultato di una politica degli stranieri e dell'asilo che nel nostro paese, in questi ultimi quindici anni, ha sempre più rimesso in discussione e negato diritti fondamentali. Battersi a sostegno di Yasin, come è già stato per Arlind e come deve essere per molti altri casi, individualmente e collettivamente, è un modo per ribadire diritti fondamentali che un paese democratico non può continuare a calpestare. Nel caso di Yasin mi pare che vi siano tutte le ragioni a sostegno del suo diritto a poter continuare a vivere e lavorare in questo paese. Sosteniamolo!”

Giuseppe Sergi, presidente del Movimento per il socialismo e docente di italiano presso Liceo di Bellinzona

 

"Dopo 6 anni di permanenza in Svizzera e dopo essersi integrato completamente, con un posto di lavoro sicuro, Yasin non merita di essere espulso. Le autorità svizzere non possono applicare in modo rigido le leggi, ma devono tener conto di tutte le circostanze. Questa espulsione, se eseguita, sarebbe contraria allo spirito di accoglienza e di solidarietà che dovrebbe animarci."

Giancarlo Nava, ex direttore di Scuola media

 
“Ognuno di noi è fatto della propria storia, delle radici familiari e della nascita, e del percorso che la vita gli costruisce, a volte lineare e agevole, altre meno. In alcuni casi queste due anime, storia e destino, passato e futuro, sono l’uno la continuità dell’altro. In altri casi no, come per Yasin. Yasin è nato altrove: ma da tanti anni è qui, in mezzo a noi, e con noi vive, lavora, conduce la sua esistenza sociale, affettiva e di riferimenti. Ora Yasin deve partire: deve tornare dove è nato e dove ha trascorso parte della sua vita. Ma il viaggio della vita non è una linea continua il cui senso rimane inalterato anche se se ne inverte la direzione, l’orientamento: è una costruzione passo per passo, e non si azzerano parti del proprio cammino, della propria esperienza. Yasin è certo quello che era nel suo paese di origine: ma unito, in una persona nuova, con quanto è divenuto qui, vivendo in mezzo a noi e condividendo con noi desideri, aspirazioni, bisogni. Io spero che Yasin, come moltissimi altri che ne condividono la sorte e che sono ombre, silenziose figure dietro le quali si celano altrettante storie e altrettanti destini, possa continuare a vivere qui, dove desidera stare e dove ha trovato la sua dimensione di vita. Se il sentimento di giustizia e umanità ha un senso, lo si può, lo si deve praticare dando a Yasin una possibilità molto semplice, e che troppi non hanno. Quella di vivere, in onestà e dignità, dove destino e storia ti hanno portato: dove sei stato capace di costruirti un io che è un tu per gli altri, e che vive, con noi, in una comunità che ci affratella tutti.”

Chiara Orelli Vassere, direttrice SOS Ticino

 

“Yasin Ramhany ha 23 anni , vive in Svizzera da sei anni, dopo essere fuggito dall’Iran a 17 anni. La stessa età che ha oggi mio figlio. In questi sei anni ha fatto una formazione come parrucchiere, lavora versando il 10% del suo stipendio ogni mese per rimborsare quanto ha ricevuto dal nostro paese. Ora Yasin arrischia di dover tornare nel suo paese dove sarebbe perseguitato. Eppure potrebbe beneficiare di un permesso umanitario per poter restare in Svizzera. Ecco perché, come politica ma anche come madre, mi aspetto che l’autorità cantonale preposta compia questo gesto a carattere umanitario permettendo a Yasin di continuare a stare nella nostra comunità dove si è ben integrato.”

Marina Carobbio Guscetti, consigliera nazionale 

 

“Mi ricordo che, quando ero in Consiglio di Stato ogni tanto si discutevano dei casi di richiedenti d’asilo che si trovavano in Svizzera da più di 5 anni, che si erano bene integrati per cui la loro espulsione appariva un atto burocratico inutilmente crudele. In quei casi il Cantone poteva (e, per quanto mi è dato di sapere, può ancora oggi) sollecitare un permesso di dimora anche se esiste una decisione negativa cresciuta in giudicato. Ricordo che ancora nell’ultima seduta del governo cui ho preso parte (aprile 1999) con i colleghi avevamo deciso di procedere in questo senso per tre casi, chiamati “casi di rigore”. Mi sembra che il caso di Yasin Rahmany rientri in questa casistica: è qui da 6 anni, parla la nostra lingua, ha conseguito il diploma federale come parrucchiere, lavora, paga le tasse, sta restituendo alla Confederazione quello che è costato nei primi mesi della sua permanenza in Svizzera, e ha da noi solidi legami affettivi. Un quadro molto positivo indipendentemente dai motivi per i quali ha lasciato il suo paese che, per spingerlo a un tale passo, non potevano non essere drammatici. Trattare questo caso come “un caso di rigore” mi sembra contemporaneamente un atto di giustizia e di umanità. Due valori che non sempre si riesce a conciliare.”

Pietro Martinelli, ex Consigliere di Stato

 


“Conosco Yasin da molto tempo. Ha lavorato e tutt'ora lavora come parrucchiere nel Salone di mia zia. È un ragazzo molto educato, rispettoso e orgoglioso di vivere nel nostro Paese. Una persona di poche parole che ha dimostrato un comportamento esemplare in tutti questi anni. Si è bene integrato, ha frequentato un apprendistato e ha conseguito un diploma federale con buoni voti. Ha sempre amato il nostro Paese. Condizioni per le quali non dobbiamo assolutamente permettere che venga espulso dalla Svizzera che è sensibile in queste circostanze.
Non possiamo generalizzare; è un caso che va valutato singolarmente e analizzato nei suoi contenuti.
Il nostro Paese è stato fondato su dei principi di lealtà, rispetto verso i cittadini e attenzione al prossimo.
Mandarlo via vorrebbe dire venire meno a questi importanti principi. 
Chi merita e ama il nostro Paese rimane, chi non lo rispetta no.”

Massimo Busacca, presidente degli arbirtri di FIFA

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