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LOCARNOLa prima volta di Carlo Chatrian

17.08.13 - 09:20
Bilancio: a poche ore dal Palmarès della 66esima edizione del Festival del film Locarno, giudizi piuttosto positivi sul direttore artistico
Foto Tipress / Carlo Reguzzi
La prima volta di Carlo Chatrian
Bilancio: a poche ore dal Palmarès della 66esima edizione del Festival del film Locarno, giudizi piuttosto positivi sul direttore artistico

LOCARNO - "Può fare meglio". È come quando sui giudizi intermedi che ti porti a casa da scuola, i professori vogliono dare segni d’incoraggiamento: "non è male, in alcune materie vai bene, ma per altre ci vuole qualche sforzo in più".  Potremmo sintetizzare così i giudizi espressi sulla prima selezione di Carlo Chatrian.

Nelle valutazioni di quattro critici navigati  –  che conoscono molto bene la rassegna cinematografica locarnese – alcuni punti convergenti. Con qualche sfumatura diversa. Certo è che non è mai facile succedere alla guida del Festival in una realtà, come quella di Locarno, dove ogni gesto viene iperscrutato. Il direttore artistico è spesso un sorvegliato speciale.

Antonio Mariotti –  critico del Corriere del Ticino e membro della giuria del Premio Cinema Ticino – ritiene che tutto sommato Carlo Chatrian se la sia cavata bene. «Diventare il direttore di un festival così importante, e soprattutto generalista come Locarno, non è facile per qualcuno che non abbia un’esperienza dello stesso genere alle spalle. A parte Olivier Père, che era più esperto, in passato abbiamo visto direttori per cui sono stati necessari un paio di anni di apprendistato. Si erano infatti viste più debolezze che punti di forza. Scegliendo la strada della continuità con Olivier Père, Carlo Chatrian – sottolinea Mariotti – è rimasto su una via che negli ultimi anni ha ridato forza al Festival di Locarno. È riuscito a portare a casa un’edizione caratterizzata da diversi film interessanti. E anche qualche toppata. Ma in ogni festival ce ne sono».

Per Mariotti il livello medio del Concorso internazionale è senz’altro soddisfacente. Una riduzione della selezione a sedici o a diciotto (invece di venti) non sarebbe un male. «Sui venti film, ce n’erano quattro o cinque che si potevano evitare o inserire altrove. Il film “Zone umide” era un film chiaramente commerciale e quindi fuori posto nel concorso internazionale. Sarebbe stato meglio – osserva Mariotti – proporlo in Piazza Grande, in seconda serata».

Al critico del Corriere del Ticino è piaciuto in modo particolare il film “Real” del giapponese Kiyoshi Kurosawa. «È un film che non bisogna raccontare, ma consigliare a tutti. È sorprendente, pieno di fantasia e di colpi di scena che nessuna si aspetterebbe. Combina manga e psicanalisi con grande abilità. È un film da godere, attraverso il quale la magia del cinema esce pienamente intatta, nonostante la crisi che la funzione del cinema sta attraversando». Giudizio positivo anche sulla selezione svizzera.

Altra voce di esperienza, quella di Maurizio Porro, critico del Corriere della Sera, che a conti fatti promuove il direttore artistico. «Complessivamente la selezione dei film è stata buona, con qualche eccesso, probabilmente calcolato per far parlare del festival. Alludo per esempio al film “Sangue” di Pippo Delbono, interpretato dall'ex terrorista Giovanni Senzani, oppure a “Zone umide”. Al di là di questi elementi sensazionalistici – commenta Porro –  bisogna riconoscere che la selezione conteneva film abbastanza buoni».  Positiva, per l’inviato del Corsera, anche l’offerta su Piazza Grande: «Abbiamo potuto vedere almeno tre o quattro commedie molto divertenti, come “About Time”, “We're the Millers” oppure “Vijay and I”. Promuovo dunque Carlo Chatrian che ha saputo coniugare l'aspetto cinefilo, che indubbiamente gli appartiene, a un gusto per un cinema divertente, popolare, satirico e mai superficiale». Porro ha individuato anche un tema molto ricorrente: la malattia, la disabilità in senso fisico e in senso psicologico. «Alcuni film hanno avuto per protagonisti  veri ragazzi disabili. Il tutto – secondo Porro – raccontato sempre con intelligenza e senza retorica».

Non vede invece un file rouge, nella selezione numero 66 del Concorso internazionale, Ugo Brusaporco, il critico che garantisce la copertura per laRegioneTicino. «È stata un’edizione assolutamente strana, per un motivo semplice: si vedono i primi segni della nuova direzione Chatrian, ma c’è ancora traccia del direttore precedente, il francese Olivier Père. Per dare giudizi sui film e l’intera selezione, aspetterei la prossima edizione. Voglio vedere – precisa Brusaporco – quale sarà la retrospettiva e quale sarà la vera impronta che Chatrian vorrà dare a questo Festival».

Per quanto riguarda il Concorso internazionale, anche Brusaporco conferma la presenza di molti film interessanti. Ma lamenta l’assenza di una linea. «Di solito in un festival scopri la linea del direttore artistico attraverso i temi. Questa selezione – taglia corto il giornalista –  sembrava un quaderno di prove». Giudizio positivo per “Educação sentimental” del brasiliano Júlio Bressane – «un capolavoro» ¬¬ – “Tableau noir” dello svizzero Yves Yersin e “El mudo” di Daniel e Diego Vega  (Perù/Francia/Messico).

Ma «ci sono stati tuttavia anche film inutili». Inutili? «Sì, come “Mary, Queen of Scots”. Ma come si fa a girare un film in costume nel nostro tempo – tuona Ugo Brusaporco – senza avere un’idea di ciò che si vuole fare»? Per quanto riguarda Piazza Grande salva “Gabrielle” tra i momenti belli. «Troppi – conclude Brusaporco – i momenti di stanca. È come se la Piazza fosse come quelle cose da… “liberi tutti”».

Domenico Lucchini, direttore del CISA (il Conservatorio Internazionale di scienze audiovisive), ritiene che sul solco tracciato dai suoi predecessori, Carlo Chatrian stia cercando di trovare una buona velocità di crociera per il Festival. «Mi pare che per i concorsi abbia compiuto mediamente delle buone scelte, anche qualitative. Forse con un paio di proposte non del tutto indovinate e tantomeno opportune. Ma è lo scotto da pagare all’esordio».

Più severo il giudizio sulla selezione per Piazza Grande. «Dal mio punto di vista il programma della Piazza è debole, ma è un problema decennale. Sappiamo che deve avere una dimensione più divulgativa e popolare – commenta Lucchini – ma occorre comunque osare di più e puntare su maggiore spessore».  E sulla necessità di una maggiore identità tematica, Lucchini concorda con Brusaporco.

Sul fronte del cinema giovane, il direttore del CISA è ben messo per  dare un’opinione: «Al Festival ci sono molti giovani spettatori e spettatrici: è un buon segnale, perché i giovani sono una forza reale dell’avvenire. Di ottima qualità i corti internazionali, mentre sul concorso nazionale ho qualche perplessità, tenuto conto delle risorse in campo».

 

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