La storia di Clara e della sua pensione da 1800 franchi al mese dimostra come le donne rappresentino una categoria a rischio tra gli over 65. Intanto, primo e secondo pilastro non bastano più.
BELLINZONA – «Con una pensione di 1.800 franchi al mese, non ce la faccio a campare. Devo continuare a lavorare». Storia di Clara, 68enne di Bellinzona. La sua è una storia di ordinaria povertà. Stando alle cifre dell’Ufficio federale di statistica, in Ticino gli “over 65” costretti a continuare a lavorare sarebbero circa 8.200. Un numero alto, che corrisponde al 4,45% della popolazione attiva. E che, in futuro, potrebbe aumentare. «Il rischio – spiega Anna Trisconi Rossetti, capo dell’Ufficio prestazioni presso l’Istituto delle assicurazioni sociali – sarà quello della povertà pensionistica».
Prestazioni complementari – A fine 2016 i pensionati che beneficiavano delle prestazioni complementari in Ticino erano 15.409. Molti di più dei 13.895 registrati a fine 2010. Il problema è di livello nazionale ed è legato all’invecchiamento globale della popolazione, ma anche alle spese socio-sanitarie di degenza in casa per anziani.
Aggravanti ticinesi – Anche se in Ticino ci sono alcune aggravanti. Dall’età media più alta al fatto che il 22% della popolazione residente sia “over 65” (il 18% in Svizzera). Passando per i salari mediamente più bassi. «Questo – dice Trisconi Rossetti – incide sull’importo delle rendite di vecchiaia del primo pilastro e del secondo pilastro. E anche sulla possibilità di avere un terzo pilastro. Ecco perché gli anziani tendono a ricorrere alla prestazione complementare».
Costretta a lavorare in nero – Clara nel corso della sua vita ha lavorato per diversi anni nella vendita. Poi sono arrivati il matrimonio, due figli. E il divorzio. «Una separazione dolorosa. Mio marito non voleva pagarci gli alimenti. Io non sono più riuscita a rientrare nel giro della vendita. E per mantenere i miei figli ho accettato qualsiasi compromesso. Ho lavorato come donna delle pulizie, per almeno 20 anni. Mi hanno spesso pagata in nero».
Orecchie da mercante – La 68enne bellinzonese ha cercato più volte di fare ragionare i suoi datori di lavoro. Ma non c’è stato verso. «Sapevano che ero in difficoltà e ne hanno approfittato. Ora percepisco una pensione in base agli anni in cui ho lavorato nella vendita e ai contributi che mi sono stati versati in quel periodo».
Donne a rischio – Proprio qui sta il problema. Perché l’importo della rendita di vecchiaia del primo pilastro dipende da due fattori: il primo è l’aver pagato i contributi sociali all’AVS, il secondo è il reddito medio conteggiato durante il periodo contributivo della propria classe di età. Tutti aspetti su cui Clara è stata costretta a sorvolare. Il caso della 68enne bellinzonese è emblematico di una categoria, quella delle donne, più fragile rispetto a quella degli uomini. «Anche perché – riprende Trisconi Rossetti –, se si pensa a una famiglia tradizionale, alcune donne non hanno una vita lavorativa lunga. E quindi tendenzialmente arrivano a una pensione “bassa”».