Quanti sono gli analfabeti di ritorno in Svizzera? Preoccupa il settore terziario. Gli esperti invocano un nuovo studio, che potrebbe arrivare con il nullaosta della Confederazione
BELLINZONA – «Il sospetto è che la situazione, per quanto riguarda l’analfabetismo di ritorno in Svizzera, non sia migliorata. Anzi. Ed è soprattutto il settore terziario a lanciare segnali preoccupanti». Parole di Christian Maag, segretario generale della Federazione nazionale leggere e scrivere. La sua speranza è che dalla Confederazione arrivi il nullaosta per un nuovo studio sul fenomeno. Il 2017, in tal senso, è un anno chiave. «Entro dicembre – dice Maag – forse avremo una risposta. Lo studio dovrebbe poi essere svolto nel 2021».
Comprensione pari a zero – Uno svizzero su sei non sa né leggere, né scrivere. O meglio: ascolta, legge, magari trascrive. Ma non è in grado di andare a fondo sui contenuti. Il livello di comprensione è basso. Li chiamano analfabeti di ritorno. Perché hanno avuto un normale percorso scolastico di alfabetizzazione per poi perdere le competenze per strada. È il fenomeno che, da anni, viene posto all’attenzione dell’opinione pubblica. Frutto di ricerche ufficiali svolte tra il 2000 e il 2006. «Nella Svizzera italiana – evidenzia Mauro Tettamanti, presidente della sezione ticinese di Leggere e scrivere – le persone in difficoltà si aggirano tra le 40.000 e le 50.000. È una stima verosimile».
Stipendio d’oro – E non si parla solo di stranieri immigrati, o di semplici operai. A preoccupare è la situazione di quadri dirigenti, bancari, assicuratori, professionisti magari con uno stipendio d’oro, che per un motivo o per l’altro hanno smesso di esercitare l’uso corretto della lingua. «C’è chi si presenta da noi in condizioni critiche – ammette Tettamanti –. Persone di 50 anni che non sanno più leggere un orario ferroviario, o che vanno in tilt di fronte al regolamento della cassa malati».
Nuove tecnologie sotto accusa – D’altra parte già nel 2006 lo studio ALL (Adult Literacy & Lifeskill Survey) metteva il dito nella piaga, evidenziando che su scala nazionale tra il 30% e il 40% degli attivi nel terziario aveva un basso livello di uso della lingua. «Nel frattempo – riprende Tettamanti – le nuove tecnologie hanno fatto precipitare la situazione. C’è gente che vive di tweet o di messaggini. E che quando si trova a dovere scrivere una lettera seria non sa da che parte iniziare».
Vergogna – Tettamanti sottolinea come molte di queste persone provino vergogna per la loro situazione. «È il sentimento più diffuso. Purtroppo questo fa sì che poi chi è in difficoltà non riesca a fare il passo ulteriore, decidendo magari di seguire un corso per colmare le proprie lacune. I nostri corsi, ad esempio, sono seguiti da poche decine di iscritti. Ci sono, tuttavia, anche persone che riescono a rimettersi in discussione. Ricordo il caso recente di un bancario rivoltosi a noi. Era consapevole di non avere più le conoscenze grammaticali per fare corrispondenza in italiano. Per lavoro, infatti, era abituato a parlare in tedesco. E questo l’aveva allontanato dalla lingua italiana».
Bicchiere mezzo pieno – Il linguista Alessio Petralli, dal canto suo, preferisce vedere il bicchiere mezzo pieno. «In Italia, ad esempio, la situazione è ben peggiore, con quasi il 70% della popolazione confrontata con questo fenomeno. In ogni caso io sono fiducioso per il futuro. Una ventina di anni fa si diceva che l’uomo non avrebbe più scritto. Perché era abituato a fare chiamate, a comunicare con un’oralità secondaria. Oggi grazie a email ed sms la scrittura è tornata d’attualità».
Una lingua in evoluzione – Già, ma che scrittura? Scrivere “ke” al posto di “che” in una lettera ufficiale è accettabile? Secondo Petralli tutto va relativizzato. «La lingua si evolve. Quello degli analfabeti di ritorno è un fenomeno che purtroppo fa parte della realtà. Ma ci sono anche aspetti positivi da cogliere. È tornata la voglia di scrivere, e in parte anche di leggere».