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CANTONEE tu perché lavori gratis?

23.01.17 - 12:31
Nuove forme di occupazione non (o male) retribuite, che rischiano di destabilizzare stato e società: la Supsi prova a dar loro voce
Foto d'archivio (Tipress)
E tu perché lavori gratis?
Nuove forme di occupazione non (o male) retribuite, che rischiano di destabilizzare stato e società: la Supsi prova a dar loro voce

MANNO - Finora, era il lavoro in casa o il volontariato, faticoso e non retribuito; ma senza che ciò desse grosso scandalo. Non destano ormai più clamore, oggi, nemmeno gli stage, le controprestazioni, le attività della rete e tutti quei "lavoretti" che vanno sotto la definizione di "gig economy". E che restano però ancora, anzi a maggior ragione, un fenomeno meritevole più che di attenzione. Di approfondimento, di studio scientifico, visto che sfugge alle statistiche e, dati i livelli di inconsapevolezza cui obbliga, perfino a chi lo pratica, rischiando di destabilizzare economia e società.

Per questo, oggi, la Supsi inaugura un sito: per provare a definire le dimensioni esatte del "lavoro gratuito". Che ha assunto nuove forme e, in maniera talora subdola, si propone come occasione unica per investire sul futuro: senza che il presente, però, sia adeguatamente preso in considerazione e compensato. Il sito www.supsi.ch/go/lavorigratis proverà a raggruppare le testimonianze. E, dopo cinque mesi di ricerca fatta di contributi spontanei come di interviste mirate, a tirare le fila e dire a che cosa si sta andando esattamente incontro.

«Si tratta di esperienze che si fanno in momenti particolari della propria vita - spiega la responsabile Pasqualina Cavadini -: il passaggio dalla formazione al mondo lavoro o da un lavoro all'altro. Negli interstizi della carriera lavorativa capita di prestare lavoro gratuito». Ma, assente un contenitore in grado di dare unità e dunque visibilità al tutto, resta (pericolosamente) in secondo piano, quando è destinato a dominare il futuro della realtà professionale. «Non sempre con risvolti negativi. Non c'è solo la dimensione dello sfruttamento», continua Cavadini. Anche se, nel momento in cui si è spinti a raccontarlo, diventa preponderante. «Il nostro scopo è raccogliere le emozioni che lo accompagnano. E che cambiano nel corso della vita».

Complice privilegiata la rete, «che ci fa diventare lavoratori gratuiti». Anche solo taggare delle immagini conto terzi, riflette Spartaco Greppi, responsabile ricerca dell'area lavoro sociale del Dipartimento di economia aziendale, sanità e sociale della Supsi, è «un lavoro importante e poco remunerato». Vuoi perché non viene considerato prestazione vera nemmeno da chi lo fa, quando però, per chi ne beneficia, genera profitto. Lo ha bene insegnato l'Expo, che, con il suo 60% di personale volontario, ha portato alla ribalta la questione. «Possiamo dire, a questo stadio, che la gratuità oggi ha una sua dimensione strutturale nel mondo del lavoro», conviene Christian Marazzi, docente e ricercatore.

E si incarna in figure spesso precise, giovani neolaureati in primis, che oggi sono invitati a diventare protagonisti dentro uno spazio online con il quale si mira a saperne di più, e in tempi quanto più possibile rapidi. Perché non è solo curiosità: a rischio è lo stato sociale. «Il funzionamento dello Stato si basa sui prelievi obbligatori - conclude Greppi - L'estendersi dell'economia dei lavoretti rischia di comprometterlo e di compromettere anche la capacità della nostra economia di produrre coesione sociale». 

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