Torna la stagione delle caldarroste, la storia di Giovanni Scozzari, 68 anni, maronatt di Piazza Dante: «Tra i miei clienti anche Dario Fo, il mio idolo»
LUGANO - Ogni mattina, attorno alle dieci, si presenta in Piazza Dante, a Lugano. Con le sue pentole, con i sacchi di carbone. Con le sue castagne. Quella di Giovanni Scozzari, 68 anni, è la storia di un uomo quasi invisibile. Una vita spesa a portare avanti la passione del padre. E a lottare, silenziosamente, contro quell’etichetta. «Ho origini siciliane – spiega – della zona di Agrigento. Non sono un maronatt doc. Però lo faccio col cuore. Da oltre quarant'anni».
La vita in due metri quadrati - Un osservatorio privilegiato, racchiuso in un fazzoletto di due metri quadrati. Giovanni è lì da quattro decenni. E prima di lui c’era papà Salvatore. «E pensare che da ragazzino io mi vergognavo del mestiere di mio padre. Alla scuola cantonale di commercio i compagni mi prendevano in giro. Molti, infatti, erano benestanti. Ma non è l’unico pregiudizio con cui sono stato confrontato. Sono nato e cresciuto in Ticino. Però ho sangue meridionale. E all’epoca essere meridionale in Svizzera era dura. Alcuni ti guardavano storto».
Via dall’ufficio - Ha un lato romantico, la storia di Giovanni. Inizialmente lavora per quattro anni come contabile, in un ufficio. «Erano i tempi della speculazione edilizia». A un certo punto si rende conto che quel mondo gli dà la nausea. «Ho deciso quindi di andare a Ginevra, a studiare storia dell’arte all’università. Volevo qualcosa di più umanistico».
Il fascino dell’indipendenza - Ma a una manciata di esami dalla laurea, la vita di Giovanni cambia rotta. «Vedevo mio padre lavorare con le castagne. Ed ero affascinato dal contatto che aveva con la clientela e dalla sua indipendenza. È lì che ho deciso di mollare gli studi e di fare quello che mi sussurrava il cuore».
L’incontro con il mito - Nel cassetto dei ricordi, tanti momenti suggestivi. «Come l’incontro con Dario Fo, trent'anni fa. Lui era il mio idolo. Lo è sempre stato. Si trovava a Lugano per uno spettacolo. Quando me lo sono ritrovato di fronte, non ho esitato. Gli ho regalato un sacco di castagne. Mezz’ora più tardi, è ritornato con il testo autografato di una sua pièce teatrale. Ricordo il suo entusiasmo. Un’altra persona forse non lo avrebbe fatto. Lui, invece, era dotato di una grandissima umanità».
Tempi che cambiano - Mezzo secolo di storia luganese, nelle parole del sessantottenne residente a Vezia. «Una volta vendevi castagne fino alle nove di sera. Adesso il centro dopo le 18 si svuota. La gente non ci vuole più vivere, purtroppo. E alla domenica Piazza Dante è spesso vuota. Fa male ammetterlo. I clienti? Sempre gentili e riconoscenti. Ma noto tantissima fretta, sono presi dallo stress. Alcuni mi fanno la comanda mentre stanno al telefono. Poi c’è la crisi da considerare. Oggi la mamma che ha due figli fa più fatica a comprare due sacchetti di castagne. Spesso ne acquista solo uno».
Una grande moglie - Sposato con Jaqueline, e padre di due figlie, Giovanni parla poi di sua moglie. «In inverno ho sempre fatto il maronatt. In estate, fino a diciotto anni fa, portavo avanti un chiosco di famiglia sul lungolago. Ma se non ci fosse stata mia moglie, ex insegnante di tedesco alle scuole medie, non avrei potuto fare una vita così indipendente. La devo ringraziare».
Lo strano percorso - Una valanga di aneddoti. Dal turista che non ha mai mangiato una castagna e che la ingoia con la buccia ai clienti affezionati che si presentano in piazza quasi giornalmente da più generazioni. Fino alla curiosità più singolare. «A me le castagne non piacciono neanche più di tanto. Anzi, se tutti i clienti fossero come me andrei in fallimento. Da bambino rubavo le caldarroste a mio padre e le smerciavo con i compagni di scuola in cambio di matite colorate. La vita è proprio strana. E io lo posso dire forte».