Nell'anniversario del disastro nucleare, il ricordo di Mario Camani, allora a capo della Spaas
TICINO - Era l'una e mezza del 26 aprile di 30 anni fa. Una lingua di fuoco di oltre 1 km si alzò dal reattore numero quattro della centrale di Chernobyl, ben visibile dai villaggi vicini. Due giorni dopo, una nube tossica scaricava sul Ticino una pioggia radioattiva, i cui effetti rimangono nel terreno ancora oggi. Mario Camani, 72 anni, era allora a capo della Sezione protezione Aria, acqua e suolo del Cantone. Toccò a lui informare la popolazione ticinese sui rischi causati dall'incidente. «Furono momenti concitati» ricorda oggi: «Quando la Confederazione emanò la prima direttiva con i risultati delle analisi della acque e del latte successe il finimondo».
Fu allora che lei fece un famoso intervento alla radio...
«Sì, dovevo commentare l'allerta giunta da Berna sul consumo di latte da parte di donne incinte e bambini, e la raccomandazione di lavare l'insalata prima del consumo. Dissi che a mio parere il solo lavaggio non era sufficiente, ma occorreva un'abrasione mediante strofinatura per rimuovere le sostanze radioattive».
Il livello di allarme giustificava queste e altre precauzioni?
«Per le donne incinte e i bambini, sì. Il problema è che il panico fu tale che tutti il giorno dopo si precipitarono al supermercato a fare scorta di latte confezionato prima del 28 aprile. Fu il caos»
I media fecero la loro parte.
«Travisarono e ingigantirono le dimensioni del problema, creando non poco allarmismo. Ricevevo telefonate a tutte le ore del giorno e della notte, da giornalisti e persone comune preoccupate. Andò avanti così per mesi».
Quali erano le paure della gente?
«Di tutto e di più. Chi era stato in viaggio in Germania e voleva sapere se era stato contaminato; chi aveva comperato delle uova e chiedeva come cucinarle. Io rispondevo a tutti, davo consigli. In alcuni casi, sono stati provvidenziali».
In che senso?
«Ricordo che fui contattato da tre donne incinte, in momenti diversi, a cui i medici avevano consigliato di abortire per via della radioattività. Le rassicurai, e non abortirono. Purtroppo in Ticino quell'anno furono una trentina gli aborti legati al timore degli effetti di Chernobyl. Un tragico errore dei medici e delle persone. La paura ha fatto più vittime della radioattività. È una lezione che non va dimenticata».